Östlund, quando gira un film, effettua circa venti Ciak per ogni scena, ma durante gli ultimi cinque Ciak attua un rituale per accrescere la tensione e dare vigore all’interpretazione: Innanzitutto grida il numero di Ciak rimasti, poi chiama tutta la troupe dietro alla camera per assistere alla scena, il Ciak viene sostituito da un Gong, e quando questo suona, cala sul set un silenzio densissimo, gli attori attendono di trovare la giusta predisposizione, e cominciano.
E’ uno di questi ultimi Ciak che ci ha regalato il gioco di sguardi tra Yaya e Carl (Charlbi Dean Kriek e Harris Dickinson), nella “scena del conto”, una delle più riuscite del film. Costruita attorno ad una apparente e banale incomprensione, senza preavviso si tramuta in un violento gioco passivo di rappresaglie, dove il tentativo di chiarire l’incomprensione si inabissa in un mare di sospetti, sconcerto, frustrazione, il tutto senza mai eccedere nei toni. Carl è ripreso con la parete dietro, in un angolo, la mano vicino allo scontrino, sempre più agitato, in trappola; mentre Yaya alle spalle ha l’ampio l’ambiente del ristorante, e sfida apertamente Carl a mettere in discussione lo status quo delle convenzioni (quando arriva il conto, è lui che deve farsi avanti per offrire la cena, e mai il contrario).
E’ in questi momenti che il cinema di Ostlund eccelle, e rimane insuperato nella sua acutezza di sguardo, “Forza Maggiore”(2014) rimane ancora l’esempio migliore di queste dinamiche relazionali fatte di apparenti equivoci, i silenzi, le perplessità, le risate sommesse utilizzate come pugnali, il non detto che è sempre ciò che sta al centro della discussione, in un continuo misurarsi tra animali impauriti e pericolosi.
“Play”(2011) il suo terzo lungometraggio, ancora ad oggi uno dei migliori film sul bullismo che siano mai stati fatti, si serviva di un originalissimo espediente visivo narrativo, fatto di campi lunghissimi, che lentissimamente si restringevano. Il film era tutto costruito attorno a questo concetto stilistico, in maniera dogmatica. La capacità di intuire e sviluppare le potenzialità del campo lunghissimo deriva dagli anni trascorsi da Östlund a riprendere esibizioni sciistiche². In quel tipo di riprese, migliori sono le prestazioni dello sciatore, maggiore sarà la durata dell’inquadratura, fare un taglio è un modo per coprire gli errori. Questa “deformazione” stilistica è stata trasposta anche nel successivo “Forza Maggiore”, per creare una forte sensazione di presenza, producendo risultati estremamente efficaci ed originali.
L’altro asso nella manica di Östlund sta tutto nelle tematiche: Östlund è appassionato di Sociologia, perché è una scienza che illustra il comportamento di una collettività senza imputare alcuna responsabilità al singolo. I suoi film hanno una componente di commedia, ma nell’essenza sono sempre esperimenti sociali. Riflessioni sull’esperienza e il comportamento interpersonali, e, negli ultimi due film, sul ruolo derivante dal capovolgimento dello status sociale.
Gli Svedesi devono avere un ossessione particolare per le linee espressive dei volti, il titolo di questo film “Triangle of Sadness”, si riferisce a quel piccolo triangolino in mezzo alle sopracciglia, che con l’età diventa via via più profondo. Bergman, conterraneo di Ostlund, amava scrivere dialoghi in cui venivano rilevati piccoli dettagli dell’espressività, sfumature minime, che racchiudono un interiorità tesa ed inquieta.¹
Detto questo, com’è nel complesso “Triangle of Sadness?”
Meno della somma delle sue parti, talvolta un po’ troppo sopra le righe, specialmente nella parte centrale, ambientata all’interno della nave da crociera, dove un certo gusto per il grottesco si sbilancia troppo verso il farsesco, ad un certo punto pare di assistere alla Crociera più pazza del mondo, manca solo Leslie Nielsen. Ad ogni modo, Il film deraglia solo per una ventina di minuti, prima di rientrare nei ranghi, e si salva grazie all’esilarante Woody Harrelson, capitano della nave, in una delle sue interpretazioni più divertenti di sempre.
I personaggi meno riusciti scontano la scelta di rappresentare più una determinata categoria, a scapito della credibilità. E’ evidente che Ostlund si diverte troppo a deriderli, e a volte non riesce a trattenere la sua goliardia, inficiando così le sempre valide riflessioni di fondo sul comportamento dell’essere umano in condizioni estranee a quelle proprie del suo ambiente sociale.
Lo stile in generale sta cambiando, i campi lunghissimi fissi, o che si restringono con quella lentezza esasperante sono quasi del tutto assenti, ne ritroviamo giusto uno all’inizio della “terza parte”, (in un intervista Fredrik Wenzel, il direttore della fotografia, afferma che è stato pure tagliato rispetto alle intenzioni iniziali), è un peccato che Ostlund abbia rinunciato ad esplorare uno degli stilemi che davano personalità al suo cinema. Già in “The Square” del resto, si avvertiva il senso di perdita del rigore stilistico, forse la cosa più geniale di quel film è che è finito per essere apprezzato proprio dal tipo di individui di cui si fa beffe.
Ma questo cinema imperfetto e vivo è ancora una delle cose più interessanti del panorama europeo, quindi ben vengano altri film come questo, e lunga vita a Ruben Östlund.
¹La tua bella fronte ampia, spaziosa ha quattro rughe sopra ogni sopracciglio… non riesci a vederle con questa luce, ma risaltano chiare di giorno. Lo sai da dove ti vengono queste rughe? Dalla tua indifferenza, Maria. E questa lieve curva che va dall’orecchio alla punta del mento non è nitida come un tempo. Questo significa che sei superficiale e indolente, e lì alla radice del naso perché ora c’è tanto sarcasmo, Maria. Riesci a vederlo? C’è troppo sarcasmo, troppo scherno… e sotto ai tuoi occhi inquieti, mille rughe impietose secche e quasi inavvertibili di noia e di impazienza (Sussurri e Grida, Ingmar Bergman, 1972).
²Il bellissimo brano “New Noise” dei Refused, presente nel film, tratto da “The Shape of Punk to Come” una pietra miliare del Post Punk Svedese, era già stato utilizzato per uno dei primissimi video di riprese sciistiche girati da Ostlund “Free Radicals 2”.