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Venezia 71 – Il diario delle pecorelle – Parte 1

di il 28/08/2014
 

Eccomi tornato al Lido.

Eccomi di nuovo tra le mie amate pecorelle: Nerina, Dispettina e tutte le altre.

Nemmeno il tempo di fare muso muso che andiamo tutti in sala Perla per deliziarci con l’ultima fatica, si fa per dire, di Kim Ki-duk. One on One, con tanto di regista e codino presenti in sala.

Meno male perché il regista stesso ci avverte che il film è totalmente metaforico. La ragazza che sarà uccisa all’inizio non è una ragazza, è l’identità buona del suo paese che è stata sacrificata da un sistema di corrotti e corruttori che hanno condotto la Corea del Sud nel baratro della malvagità politica e sociale.  Nonostante il pessimismo palese, Kim ci lascia nella speranza e nella convinzione che il ritorno all’Eden della fratellanza e della giustizia trionferà.

Nerina fa la cacca. Io la spingo a ruzzoloni giù dai gradini della sala.

Il film è il susseguirsi per due ore della stessa scena: il rapimento di uno dei responsabili dell’uccisione della ragazza, la tortura per farlo confessare, la liberazione seguente. Chi si pente, chi no.
Tra le torture migliori, quella con un gas ‘che fa molto male’. I rapitori \ torturatori si travestono da militari, agenti segreti, pompieri.
La cosa più notevole è il voto finale del pubblico della stampa: il cartellino ”mi è piaciuto” Sì\No era quasi tutto di Sì.

Tutte le pecorelle, dopo la cacca, hanno dormito. Nerina voleva fare un ‘pissie’ (selfie a base di pipì) col regista ma le body guard l’hanno respinta.

 

Si prosegue con la seconda spremitura di Oppenheimer sui massacratori comunisti indonesiani: The look of silence.

Le pecorelle, quando sentono parlare di documentario, diventano irrequiete. The act of killing le aveva intrigate. Quando si parla di ammazzi, veri o finti che siano, loro sono sempre vigili. Questa volta, però, la materia non è più così surreale. Ci s’interroga, si diventa meditativi. L’olio è più chiaro, più da supermercato. Qualcuna dormicchia, altre si eccitano a sentire la ricetta del boia per sopportare il mestiere: bere il sangue delle vittime. Un documentario, insomma. Roba da caprette.

Film della notte, Dearest di Peter Chan.
 

 
Un regista dalla mano imperiosa, fantasiosa, sicura, al servizio di una storia farraginosa che alcuni hanno trovato sorprendente.
Io, che mi fido solo delle mie pecorelle del DAMS, le ho viste traballare già dopo la prima mezz’ora. Il rapimento del bambino iniziale, che poteva preludere a tutto, si affloscia quando i genitori, ormai semi rassegnati, si iscrivono a un gruppo di aiuto per altre famiglie colpite dalla stessa tragedia. Il colpo di grazia e di sonno lo danno il match ‘madre biologica vs madre acquisita’ e la riflessione sulla ragione e sul torto. Lì le poverine, non hanno resistito. Nemmeno Tenerina, cui piacciono i drammoni e i melò. Sonno completo.

 

 

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