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Venezia 71 – Il diario delle pecorelle – Parte 2

di il 29/08/2014
 

Dopo un buon sonno e una solida colazione a base di erbetta e cappuccino, siamo pronti per il primo film del giorno, che è pure in concorso: Birdman di Alejandro Inarritu.
Cosa ha mai fatto questo autore per guadagnarsi un posto al sole tra i registi di Hollywood? Non lo so.
I suoi film, tranne forse il primo Amores Perros, che si salvava perché la mano era ancora acerba e, quindi, meno ‘pensata’, hanno l’imperdonabile difetto di far vedere lo sforzo ideativo ed esecutivo, un po’ come le sinfonie di Bruckner. Anche questo soffre dello stesso difetto degli altri. Ad esempio, l’uso esasperato del piano sequenza e della batteria continua, come colonna sonora. Però, la storia di questo attore in declino di Hollywood che cerca di risalire la china debuttando a Broadway, se non brilla di originalità tematica, riluce di personalità stilistica. Il mondo di Riggan Thomson (Michael Keaton) sorprende. E in un film, la sorpresa è (quasi) tutto. Le fide pecorelle si sono sono divertite e solo le più stanche hanno avuto alcuni cali di palpebra.

Reality di Quentin Dupieux, già autore del divertente Rubber e del meno riuscito Wrong Cops gioca con l’intreccio sogno\realtà\finzione cinematografica mescolando piani narrativi, personaggi e incastri temporali. Detto così sembra figo. Il risultato, come nel film precedente, manca di mordente e la voglia di sorprendere e spiazzare annoia come chi insiste a raccontare barzellette. Le pecorelle si sono addormentate non appena capito il registro narrativo. Nerina no perché è una fan di Eric Wareheim (ognuno ha i suoi gusti)

Gesseha della regista iraniana Rakhshan Banietemad, film in concorso, gira con due spicci una serie di ritratti al femminile dell’Iran moderno.

Le pecorelle hanno fatto di tutto per dissuadermi dall’andarlo a vedere: Iran + tematiche femminili = noia sicura. Per una volta si sbagliavano. Il racconto scorre veloce e i passaggi da una storia all’altra non cercano ad ogni costo una ragione palese. Tutti hanno il sapore dell’autenticità e scopriamo che anche in Persia, i giovani si drogano, si ammalano di Aids, sono depressi. Embè? Embè questa regista sa come dircelo, con forza nelle immagini e dialoghi che illustrano il carattere di questo popolo meglio di qualunque studio geo-politico. Nerina ha dormito ma Etny, al termine, ha belato 10 minuti di seguito.

Altri iraniani, per 99 Homes, con Ramin Bahrani alla regia e l’aiuto di Amir Naderi nella scrittura.

Iraniani adottati dagli Stati Uniti dove il sempre bravo Michael Shannon e il nuovo uomo ragno Andrew Garfield interpretano, rispettivamente, uno squalo del business immobiliare e un giovane onesto che viene sfrattato e poi plagiato dall’altro.
Il film sfrutta la colonna sonora per creare tensione anche dove non c’è. La storia è coerente ma il finale buonista è una pena. Nerina, furiosa, vuole aspettare Bahrani per morderlo. Le altre pecore sono entrate quasi in coma nel finale con sottofondo wagneriano, tranne Melomanina che stravede per il Ring.

Fine serata con il film che giustifica, da solo, la presenza alla mostra: Im keller di Urich Seidl.

Ci aspettavamo un documentario, interessante, ma di sicuro un Seidl minore, rispetto alla sue geniali fiction e ci siamo trovati di fronte a quello che è, forse, il suo capolavoro. Scordatevi la parola ‘documentario’. Il regista austriaco dimostra, una volte per sempre, che il suo è sempre stato un cinema ‘verità’. Nelle storie vere di questi pensionati amanti delle armi, delle coppie sado-maso e negli altri personaggi di contorno, c’è tutto il suo cinema precedente e qualcosa in più.
Quello che troverete vedendolo. Obbligatorio. Tutto il gregge a belare e fare la hola, alla fine. Felicità!

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