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TORINOMANIAC – La Cricchetta (dimezzata) del Cinemino al 32° TFF con due pecore e tre agnelli al seguito. Capitolo I

di il 06/12/2014
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AFORISMA
 

Che senso avesse tutto questo, non lo sapeva nessuno. Eravamo stanchi e ce ne sbattevamo.
Charles Bukowski

 

Venerdì 21 novembre 2014

Dispettina ed io ci muoviamo alla volta di Torino con un Freccia Bianca che, giusto per non smentirsi, porta 40 minuti di ritardo; se a ciò poi si somma il mio passo reso lento non dal trolley, leggerissimo!, bensì da Nerina, l’altra pecorella del gregge del Tanaka, il cui capo riccioluto sbuca dormiente e penzoloni dalla mia pregiata borsa-piumino, già è certo che le proiezioni della fascia 17.00/19.00 andranno a farsi fottere. Comunque costei, a differenza di quei cazzo di chihuahua infiocchettati delle vip del gossip, ha un valido motivo per rifiutarsi di muovere le chiappe: deve smaltire ancora i postumi oppiacei del Festival del Cinema di Roma, un vero tour de force per chi, come lei, resta in sala ad oltranza fino allo scemar dell’ultimo titolo di coda; mica come usano fare quegli irascibili disturbatori di platee, emuli di Lucio Fontana, che sono Dispettina e pastor Tanaka, i quali, quando qualcosa loro non torna, danno un taglio netto alla propria visione ed escono imprecando a gran voce, godendo pure dei calli pestati ai compagni di fila sventurata. Ma questa è un’altra storia che qualcuno prima o poi racconterà. Io torno al viaggio.

Giunte alla stazione di Porta Nuova tocca fare una materna sosta forzata alla ‘Taverna Dantesca’, che ha tutta l’aria di essere una bettola fatiscente più che un hotel a tre stelle, per recuperare i gemelli Lardina, Cardiofrequenzina ed Energumeny, frutti del rapimento estatico – favorito lo scorso anno da pastor Tanaka – di Nerina nei confronti di un montone delle Langhe color bignè che, adesso, ripudia la propria prole dal vello mulatto e non ne vuole più sapere di tenerla con sé. Con i tre teneri gianduiotti di pelo ricciuto al seguito ci dirigiamo verso il nostro alloggio di ringhiera torinese, dove nel frattempo è arrivato pure Lordevol, il cui regionale portava, per azzeccata sincronia ferroviaria, il medesimo ritardo della mia Freccia Spuntata. Paolone ci raggiunge di lì a poco.

Il tempo di depositare le valigie e una cassa di Ramos Pinto, sciacquar via dai bicchieroni di Lordevol mattutini residui proteici che paiono fanghiglia, togliere incrostazioni calcaree dal rubinetto dell’ospite  e siamo già per strada.

Raggiunto il chioschetto antistante il cinema Massimo ci accodiamo per biglietti e abbonamenti. La coda è infinita e degna del nome che porta, quindi profittiamo dei tempi morti per conoscere i gemelli ma, buttando l’occhio al display, ci rendiamo conto che perderemo, per esaurimento dei posti,  L’Enlèvement de Michel Houellebecq film incoronato all’unanimità come nostra ufficiale ouverture torinese. Sigh…

Ripieghiamo allora su Tokyo Tribe di Sion Sono: colorata pellicola fracassona e sgangherata a ritmo di hip hop declinato in rap. Il pensiero che frulla in testa a noi della Cricchetta dopo l’attacco dell’incipit –  e i titoli di testa non sono ancora comparsi –  è: “ma sarà tutto così?“.  Ebbene sì, è tutto così. Io ci rimango proprio male, per non dir di peggio, ma urge far buon sonno a cattiva sorte: ce lo dormiamo al sessanta per cento senza rimpianto alcuno. A svegliarci, sul finale, sono le urla sguaiate di un drappello di esaltati in prima fila. Fortuna vuole che il film successivo sia un cult anni Settanta che non perde un colpo: Il Fantasma del Palcoscenico di Brian de Palma. La sua visionaria versione rock dell’opera di Leroux  colora la cine-materia grigia della Cricchetta che in occasione dei film-festival si fa bianca e nera tendente al technicolor in 4D. Ecco, la prima serata ce la siamo giocata così.

Sulla via del ritorno non ci resta che sostare a trangugiare, istigati dall’indole romantica, sciupa femmine ed avvinazzata di  Lordevol, una dozzina di Amaro San Simone, in omaggio alle cantine autoctone. A me e a Paolone non piace granché, troppo dolce, ma tracanniamo all’unisono per dimenticare Sion Sono. Brilli e con un po’ di amaro, se non in bocca, nell’animo, ci tuffiamo sui nostri materassi: io nel mio lettuccio cigolante, Lordevol, Paolone e i gemelli gianduiotti nel matrimoniale vellutato rosso fuoco. Dispettina e Nerina si acquattano sul nudo pavimento a mo’ di scendiletto.

Sabato 22 novembre 2014

L’indomani ci si sveglia alle sei per badguyesco errore di chi scrive, più umano che malvagio, e Lordevol ne profitta per miscelare meticolosamente dentro alambicchi di plastica (forieri della materia di cui son fatti gli zombi a venire del film di Jim Mickle) pappe proteiche di colore marron che poi ingoia voracemente. Le vuole rifilare pure ai gemelli ma solo Cardiofrequenzina lecca di gusto. Lardina pur amandolo alla follia, ché lo segue  anche sotto la doccia, timidamente declina l’invito. Il piccolo Energumeny,  dopo averne annusata una, beellurra (‘sussurra belando’ in gergo ovino) nell’orecchio di Paolone che sa di mangime di pesce. E dice il vero. Finge di trangugiarla e poi la sputa sotto il tappetino del bagno. Ma Lordevol questo non lo deve sapere.

Io mi prendo acido ascorbico d’origine sintetica, probabilmente cinese, mentre a Paolone basta una dose abbondante di collirio Ultravixens per affrontare in forza la giornata appena sorta ed eccoci pronti sulla strada in direzione del cinema Massimo dove ci attende  The Immortal Sergeant di Ziad Kalthoum, un documentario che mostra insistite riprese in soggettiva delle scarpe del regista (metà soldato, metà operatore di set cinematografico), interviste al popolo non propriamente genuine, mig sfreccianti nel cielo plumbeo. Dice di guerra, dittatura, gente allo stremo. Dice cose sulla guerra che già sono state dette. Meglio e da altri. E’ dai tempi di Nascita di una Nazione che se ne mostrano gli effetti ed era il 1915. Adesso, ormai, o si riempie di novella passione  ciò che è già-stato-Cinema, oppure conviene cambiare soggetto. Forse mestiere. La dichiarazione finale del regista, qualcosa come “Preferisco imbracciare la mdp piuttosto che il fucile“, non mi pare ’sta gran genialata di rivelazione. Dimenticato.

Il successivo Phase IV di Saul Bass ci giunge come acqua fresca e ristoratrice: ancora una pellicola anni Settanta, sconosciuta ai più in verità (tranne al Tanaka che ce ne dice mirabilia via WhatsApp), che con pochi spicci – e chissenefrega di chi ce li abbia messi –  riesce a fare fantascienza doc: gli basta riprendere scenari desertici e far di innocue formiche, viste al microscopio, intelligentissimi mostri malefici. Bello. Bello, davvero.

Vorremmo ritemprarci mangiando qualcosa che non sia celluloide, ma Cardiofrequenzina ci sollecita a saltare il pasto e dirigerci a passo cadenzato verso il cinema Reposi.  Ci fa fare il percorso più lungo perché sostiene che il nostro gruppo cricchettaro abbia massa grassa da perdere. Mente spudoratamente, ma le diamo corda. Lordevol piglia sulle spalle, tornite da folli mix di proteine nobili, Lardina che arranca, sempre ultima della fila, dietro i nostri talloni. Sudati, ma tonici, finalmente arriviamo al Reposi per Chrieg di Simon Jaquemet un film svizzero ove si narra la storia di un adolescente problematico che per giunta fa cadere, involontariamente, il fratellino (solo una bottarella in testa, comunque, nulla di che). Cosa fanno i genitori per togliersi il figliolo dalle palle? Semplice. Lo spediscono sui monti presso una comunità d’adolescenti criminali. Lontani sono i tempi in cui il caratteriale pastorello Peter veniva amorevolmente raddrizzato da Heidi e dal vecchio dell’Alpe, lo scorbutico nonno dal cuore tenero. La prima parte regge… ci si aspetta qualcosa che poi non arriva. Sorgono domande durante la visione, ma poi ci si dimentica di aver voglia di risposte. E ciò è sintomatico. Archiviamo pure questo, anche se, per dirla tutta, pecore ed agnelli al seguito hanno sognato sulle riprese dei propri confratelli e versato una lacrima di saliva su quelle di ghiotti pascoli montani.

Si prosegue con The Better Angels di A. J. Edwards, praticamente un clone di Terrence Malick. Il protagonista della storia è Abramo Lincoln ragazzino, ma è un pretesto. Potrebbe essere pure la storia apocrifa, in versione campestre e soporifera, di Tom Sawyer (e sempre benedetto sia Mark Twain). Il pensiero di  Paolone, vedendo quelle contadine bionde ed esili dell’Indiana danzare sulle zolle, va alla sua amata nonna paterna, donna di ben altra tempra: incarnato bruciato dal sole, piedi grossi, polpacci sodi, leggera peluria energumena – dna che si farà baffo volitivo nel nipote – sul labbro superiore. Dopo un quarto d’ora di ‘sta menata mezza The Tree of Life in bianco e nero, mezza The New World , con tanto di voce fuori campo, stormir di fronde, silenzi estatici morenti or sulle corna di un bue or su un aratro e musica classica come l’Ohio in piena, capiamo di che morte dovremo morire. In memoria della nonna di Paolone, che si rompeva la schiena china sulla terra di Lombardia e non aveva grilli malickiani per la testa, ci alziamo all’unisono, umani, pecore ed agnelli, e guadagnamo l’uscita. Siamo i soli. La sala è piena e silenziosa. Un brivido di soddisfazione mi corre lungo la schiena. Come un pericolo scampato di cui ancora nessuno sa. Come se la Protezione Civile di un contro-Tff della salvezza avesse avvertito noi soli di una calamità imminente.

Decidiamo di utilizzare questo prezioso tempo liberato per rifocillarci e ubriacarci un po’, ché la ‘sinossi’ germoghezziana dell’ultimo film della sera è ambigua, come d’altra parte tutte le tramine del depliant già sgualcito che ci rigiriamo tra le mani. Impossibile interpretarle: sono sempre un salto nel buio. Come insegna Lordevol, essere brilli al cinema non guasta mai: il film riuscito ne esce esaltato, il film brutto, comunque, ci guadagna.

Cardiofrequenzina è incazzata, voleva fare un giro di zoccoli sul 45esimo parallelo Nord, ma stavolta non gliela diamo vinta. Per il capoccione cornuto di mille montoni becchi! …in fondo è solo un’agnellina di un anno. Tsk!

Ci fiondiamo sopra Eau zoo di Emilie Verhamme: in sala è presente la regista la quale dichiara che uno dei propri riferimenti è The Wicker Man di Robin Hardy  e che per amare il suo film ci vuole una mente aperta… Ahi! Questo porre le mani avanti ci mette sul chi va là, ancor più la citazione dell’illustre nume ispiratore. Come il nostro intuito cricchettaro aveva temuto, la storia fa acqua, e il film pure. Su di un’isola in un loco imprecisato, ove vigono strani diktat, si scontrano, galleggiando come dentro ad un acquario, ragazzini contro adulti, figli contro genitori, aneliti di libertà contro fissate regole bigotte. Metafora dell’adolescenza. La (sommersa) rabbia giovane. Ancora Malick? No, ma qui ci manca. Badlands è un film bellissimo.

Mesti, mesti torniamo all’ovile. Sulla strada verso casa Paolone, che mal sopporta le storie di ragazzini – e come dargli torto? -, comincia a dare energumeni segni di cedimento. Le luminarie natalizie anzitempo delle vie di Torino esacerbano il suo stato d’animo di cinefilo duro e puro. Gli/ci mancano storie solide di botte da orbi, di cuori pesti, di risse dolenti… gli manca un documentario cinese di 9 ore da sorbirsi tutto d’un fiato, preferibilmente firmato Wang Bing. Indi prende a pugni il chiosco per la prenotazione automatizzata dei biglietti che, al solito, dà il tutto esaurito per i film di nostro gradimento nella famigerata temuta fascia blu. Il piccolo Energumeny segue estasiato il roteare nell’aria dei fendenti di Paolone e, a sua volta, piglia a capocciate le pareti del chioschetto. Però si taglia il muso. L’istinto c’è, le corna non ancora. Prenotiamo tra i titoli ancora liberi sul display qualcosa che pare essere il male minore, sperando in qualche inaspettata storia pasionaria di sangue ed ammazzi per l’indomani, anzi per oggi.

Sono quasi le due ed Energumeny deve essere medicato.

commenti
 
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  • Michele Arienti
    06/12/2014 at 19:05

    guadagnamo l’uscita. Siamo i soli. La sala è piena e silenziosa. Un brivido di soddisfazione mi corre lungo la schiena. Come un pericolo scampato di cui ancora nessuno sa. Come se la Protezione Civile di un contro-Tff della salvezza avesse avvertito noi soli di una calamità imminente.

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  • tanaka
    06/12/2014 at 22:09

    Visto che me le hai viziate e adesso le pecorelle pretendono, prima di dormire: una spazzolata al vello, grattini e la lettura di un capitolo de ‘Le rissose avventure di un energumeno’, a Berlino dormiranno con te, sappilo!

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    • Bad Guy
      07/12/2014 at 15:58

      A Berlino me le farò dormire addosso anche di giorno. Tutto il gregge! Temo le temperature sotto lo zero.
      Racconterò loro la storia del malvagio ma astutissimo hacker, tutt’ora a piede libero, che disturba le cine-visioni degli spettatori sull’intero territorio nazionale e attenta alla sicurezza dei siti web che blaterano di cinema. Un hacker diabolico! Omofobo, razzista, misantropo, misogino. E pure nazista!
      Una storia ancora tutta da scrivere… magari ci si metterà Granmolestatorina. Chissà… 😉 😀

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