Moritz Bleibtreu / Gustav Klimt
Tutto
talmente brutto da non sapere se valga la pena scriverne qualcosa
Per una qualche ignota sciagura, all’inizio del mese di maggio 2015 mi sono ritrovato in sala a guardare quello che certa stampa encomiastica aveva approvato come il ritratto intimo della battaglia di Maria Altmann per ottenere la restituzione di cinque Klimt appartenenti alla sua famiglia trafugati dai nazisti, presentato nella cornice “approvazionista” della Berlinale.
La prima sequenza, permeata dell’oro del titolo, si spinge nell’ipotesi di un fantomatico dialogo tra Gustav Klimt e l’aristocratica Adele Bloch-Bauer, mentre è impegnato a ritrarla. Klimt chiede alla sua musa: “Adele, sei inquieta?” e lei risponde affatto turbata: “sono preoccupata”. Interrogata sulla natura della sua angoscia, lei ingenuamente svela “il futuro”.
E così il regista dona ad Adele Bloch-Bauer, nel 1907, il pregio di essere addirittura tormentata dal pensiero della seconda guerra mondiale con trentadue anni d’anticipo (peraltro l’icona morì nel 1925).
Appurato che Adele Bloch-Bauer era preveggente, questo dialogo ci verrà riproposto con tanto diletto in diversi flash-back durante la proiezione.
Nonostante il potenziale di una storia, almeno sulla carta, affascinante e sofferta, la pellicola si annacqua in un garbuglio di brevissimi segmenti, privi di profondità e di qualunque valenza estetica. Non vi è una scena articolata oltre ai primissimi piani sui protagonisti. Solo segmenti brevi come quelli proposti nei cinepanettoni Made in Italy.
Forse il regista ha timore che lo spettatore possa distrarsi?
Siamo catapultati nella Los Angeles inizio anni ’90 anche se stando ai criteri di costumista e scenografo (vedi l’abbigliamento di Ryan Reynolds e l’arredamento della casa che condivide con sua moglie Katie Holmes) dovrebbe essere l’anno in cui andavano forti i Culture Club.
Maria Altmann (Helen Mirren con accento geograficamente ignoto – cadenza austriaca?!? meglio lasciare gli accenti a chi li sa fare, Meryl Streep tanto per dirne una) si ritrova al funerale di sua sorella e questo decesso è il fattore scatenante degli avvenimenti che ci porteranno alla causa legale di Altmann vs la Repubblica di Austria che approdò fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
L’imprenditrice Altmann, divenuta cittadina USA, nipote della sopracitata Adele Bloch-Bauer, è insopportabilmente restia a tornare in Austria e dopo un estenuante tira e molla con sé stessa alza la cornetta e pronuncia solennemente: “ho deciso di combattere i miei demoni”. Amen.
In volo verso Vienna, è risvegliata violentemente dai ricordi di momenti di inenarrabile umiliazione che però non ha mai vissuto in prima persona (qui il caro Simon Curtis ci pare un po’ confuso). Giunti in Austria, lei e il suo “giovane ma grintoso” avvocato capiscono che il dipinto a cui fa riferimento l’intero film è divenuto parte della psiche della nazione, addirittura Adele Bloch-Bauer è la Mona Lisa del popolo austriaco.
Non dobbiamo sorprenderci quando s’innesca il gioco di forza sul valore economico, emotivo, affettivo e storico del quadro e che di fronte all’inscalfibile stato austriaco, la protagonista si senta “come in un film di James Bond, e l’avv. Randol Schoenberg è Sean Connery” (frase riportata esattamente come nel dialogo del film), e desideri arrendersi.
Le passeggiate in cui disquisiscono sulla strategia legale da adottare si svolgono nel parco del Castello di Schönbrunn, le attese tra una seduta e l’altra della corte d’appello di Vienna avvengono mangiando il gelato davanti alla ruota panoramica del Prater. Dopo essere precipitati in questo trionfo di luoghi comuni (già egregiamente visti nel film “Philomena”: stessa dinamica, stesse gag, un po’ più di garbo), i ricordi devastanti, l’avvocato perspicace, la battuta che vuole che in Austria ci siano i canguri, ci rimangono un pugno di stucchevoli cartoline che confermano che si tratta di un film di cui nessuno sentiva il bisogno.
Woman in Gold scomoda lo spettatore, scomoda l’arte e scomoda la storia.
Non siamo ben certi cosa sia successo al Simon Curtis di “Marilyn”, ma questo esercizio ci porta a pensare che si tratta di una pericolosa tendenza cinematografica scoperchiata con Monuments Men, che potrebbe portare in futuro altri registi a concepire inutili film, spostando il vero baricentro delle infauste conseguenze della Seconda Guerra Mondiale su centinaia di migliaia di opere trafugate e mai restituite, pensando sia lecito sviscerare le storie dei legittimi proprietari (ammesso e non concesso sia argomento abbastanza avvincente per farne un copione).
Woman in Gold (2015) | |
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Rating: 7.3/10 (64,071 votes) Director: Simon Curtis Writer: Alexi Kaye Campbell, E. Randol Schoenberg, Maria Altmann Stars: Helen Mirren, Ryan Reynolds, Daniel Brühl Runtime: 109 min Rated: PG-13 Genre: Biography, Drama, History Released: 10 Apr 2015 |
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Plot: Maria Altmann, an octogenarian Jewish refugee, takes on the Austrian government to recover artwork she believes rightfully belongs to her family. |