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Quando c’era Marnie, H. Yonebayashi

di il 21/06/2015
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IL MIO VOTO


AFORISMA
 

L'ultimo film dello Studio Ghibli

 

Non mi stancherò mai di ripeterlo: i giapponesi hanno l’innato talento di far vivere allo spettatore ogni storia con la leggerezza del sogno.
Il più grande specialista in assoluto in questo campo è proprio il pluridecorato Studio Ghibli dal quale esce questo Quando c’era Marnie. Un film importante perchè in bilico tra l’essere il primo del dopo Miyazaki e, forse, l’ultimo di un’epoca d’oro che – con l’addio alla regia, per ovvie ragioni d’età, del grande fondatore – sembra poter finire per sempre.
Nel recente documentario “Il regno dei sogni e della follia“, il buon Hayao lo dice chiaramente: “senza di me lo Studio morirà“. Ma, a dirla tutta, per ora, il colosso dell’animazione è ufficialmente solo in pausa. Certo che, dopo gli incassi poco incoraggianti di un capolavoro d’infinita bellezza come La storia della principessa splendente e dopo il flop al botteghino del bon bon qui in esame, non c’è da aspettarsi un futuro radioso. A meno d’improbabili ripensamenti dei due Maestri scorbutici:

 

due

Evidentemente il pubblico è troppo indaffarato nel parossismo estetico per elevarsi dall’ipocrisia di una vita di sola apparenza e conformismo. Come se la normalità avesse mai reso la vita più felice a qualcuno. Son tutti “troppo presi a sfidarsi all’ultima camicia stirata, a scopare, a mostrare i soldi e a fare famiglia” per accorgersi delle rare gemme artistiche. Per fortuna c’è l’Asia, ci sono i paesi in via di sviluppo, c’è il nuovo mondo a piedi nudi e briglia sciolta che avanza e che schiaccia nella merda secca i figli di papà occidente che si sono adagiati sui falsi miti, bloccati nelle sabbie mobili del cattolicesimo e che vivono di immagini riciclate: vecchi divi col bicchiere in mano e la sigaretta accesa. “Muti idioti“.

Una ragazza adottiva vive nella grande città, ma socializza poco, sente troppo e non manifesta le emozioni. Il conflitto psicologico tra il mondo che vuole che appaia e quello che vive dentro di sè la porta ovviamente ad ammalarsi. Perchè anche quando la mente fa di tutto per violentare la naturalità delle cose arriva sempre il fisico ad accendere l’allarme, avvertire e poi rompersi. Il fisico vince sempre sulla mente. Nel mondo di oggi, sinteticamente, il fisico è costretto a quell’innocenza che la mente omologata non può o non vuole permettersi.
Il medico di famiglia, visitando la ragazza, consiglia di passare l’estate in campagna dai parenti: il cambio di vita, di relazioni, il profumo delle erbe aromatiche, l’elogio alla lentezza e l’aria pulita avrebbero giovato. Dallo Studio Ghibli ci si aspetta la magia, ed è infatti proprio in questo esatto punto della trama che arriva come un formicolio sottopelle, si sogna davanti allo schermo vedendo la ragazza che sbarra gli occhi di fronte al fiume scintillante, le case basse, i sorrisi e la gentilezza paffuta campagnola. Solo dopo – quando la storia s’infittisce con una casa stregata, una storia di dolore familiare e di una generazione bruciata dall’indifferenza – uno occhio frettoloso potrebbe leggere la trama come fosse quella di un thriller-horror di serie b. Di quelle che usano ancora i vecchi – morti – colpi di scena e gli spiegoni megagalattici (l’ultimo che ha funzionato è stato quello dei Soliti sospetti, vent’anni fa). Ma col passare delle ore, ci si accorge che il mistero non è certo il perno attorno al quale ruota l’economia del film. Non ha mai voluto esserlo. Il senso delle cose rimane saggiamente ancorato all’unico aspetto importante nella vita dell’essere umano: la relazione, quella maledetta grande cosa capace di fare la differenza, quell’unico risultato che ogni sforzo vuole raggiungere.
L’opera artistica, quindi, in questo caso, si nasconde nei dialoghi in cucina, nel matrimonio dei due simpatici nonni in prestito, nella tensione verso la libertà d’agire e la fiducia nel prossimo, nel modo di gestire il litigio e nell’approccio leggero in risposta a fatti che avrebbero potuto essere qualificati troppo facilmente come riprovevoli (l’epiteto alla Grassa Scrofa®, ad esempio).

Gli ingredienti sono quelli giusti, il disegno è di grande qualità, le animazioni belle anche se non bellissime, la formula è quella collaudata dello Studio, ci sono pure la canzone strappalacrime finale, gli addii struggenti ed il romanticismo infantile spiegato con meccaniche cerebrali tipiche degli adulti che, anche se te le aspetti, commuovono comunque: sarà una sorta di condizionamento pavloviano. Manca solo il talento innato, inimitabile ed impossibile da trasmettere dei geniali registi che hanno portato lo Studio Ghibli ai livelli sublimi a cui ci avevano abituato.

Inizialmente, la delicatezza del film sembra di quelle capaci di sollevare da ogni incubo ed invece finisce solo, se così si può dire, col rilassare con una carezza che più morbida non si può. Un po’ poco, dirà qualcuno, per una trama che parla di sogni e visioni. Sembra un sogno che non fa sognare e che magari non voleva nemmeno farlo. Vuole piuttosto galleggiare leggero e dare un esempio pratico dei rudimenti per relazionarsi con onestà.
Al posto dell’abituale capolavoro, quindi, un incoraggiante animale ferito.
Consigliato

 

When Marnie Was There (2014)
When Marnie Was There poster Rating: 7.6/10 (50,100 votes)
Director: Hiromasa Yonebayashi
Writer: Joan G. Robinson, Keiko Niwa, Masashi Andô
Stars: Sara Takatsuki, Kasumi Arimura, Nanako Matsushima
Runtime: 103 min
Rated: PG
Genre: Animation, Drama, Family
Released: 07 Aug 2015
Plot: Anna, a shy 12-year-old girl, is sent to spend time with her aunt and uncle who live in the countryside, where she meets Marnie. The two become best friends. But Anna gradually discovers that Marnie is not quite who she appears to...
commenti
 
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  • tanaka
    25/06/2015 at 2:46

    Da ‘Ultimo eroe romantico’ a ‘Dolente Savonarola umanista’. Voglio bene a quest’uomo.

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