La sveglia suona presto, mi alzo convinto di farcela ma, appena provo ad aprire gli occhi, l’unica cosa a cui riesco a pensare è di morire all’istante pur di non sentire quella stanchezza. Le ore di sonno perse hanno fatto danni seri. Poco male, diventare un idiota sincero è il mio sogno tutto tranne che segreto. Dita incrociate. Intanto mi rimetto a dormire, con buona pace del primo film della giornata, Marguerite.
Tarda mattinata, pressato in bus dalla pancia prominente di un magrebino che stamattina s’era dimenticato di fare la doccia, inizia piovoso il giorno 4 di Venezia72 con:
Francofonia di Aleksandr Sokurov
Il più grande artista in concorso alla Mostra del Cinema arriva al Lido con una bellissima opera minore. Trasforma un documentario sul Louvre di Parigi – un progetto che nasce disastroso già dall’idea – nell’ennesima dimostrazione della sua cultura, del suo talento visivo e immaginativo e del suo immenso lavoro di cesello. Una dimostrazione di superiorità talmente elevata rispetto al pubblico a cui l’opera è rivolta da sembrare quasi spocchiosa/altisonante. Ma è l’unico regista al mondo a poterselo permettere. Un maestro di cinema, un grande letterato e un tecnica sopraffina.
Impossibile non voler bene a uno come Sokurov, Regista Proletario. O, meglio, umanista, visti i 5.000.000 di rubli dati da Putin.
Da quando la mia amichetta è stata in Nepal è cambiata. È un paese vivificante e, ora, in parte, la costituisce. È in onore di tanta sincera passione che che mi segno in programma un film che al solo leggerne la trama mi son sentito morire di noia. Kalo Pothi di Min Bahadur Bham è Il primo lungometraggio nepalese mai presentato a Venezia. Due ragazzini, una guerra e una gallina colotata di nero. Storia rurale e sorprendentemente patinata all’interno di un villaggio, un bell’involucro in cerca di contenuti. Un vuoto, però, promettente.
Alle 17 arrivano le cavallette. Tutti come se non avessero mai visto in vita loro cibo e alcool. Io ero alla quarta bibita, quella da 4 euro in bicchiere grande, che è più carica. So che le mie stanche membra non avrebbero potuto reggere la calca: in 5 minuti capisco l’andazzo ed al party di presentazione di “Una nobile causa“, quello in cui ha fatto da figurazione l’anziano giornalista mediatico veneziano negro e molto affascinante che non è però Obama, preferisco un film.
Mi trascino in sala Darsena per vedere Krigen di Tobias Lindholm. Non mi va benissimo, sono costretto a sopportare un’ora di guerra incredibilmente noiosa per poi godermi la seconda parte in cui l’azione si sposta all’interno di un processo in tribunale. Qui tutto funziona, emoziona e si alza notevolmente il ritmo. Un film riuscito per metà, un peccato, un passo indietro rispetto al precedente e bel A Hijacking.
Un’ultima possibilità di riscatto col prossimo film gliela si può dare ma, un altro fail, e ha chiuso.
Ora arriva un momento buio della mia vita. Ma ho fatto un voto da qualche anno. Non posso tirarmi indetro. Film francesi… mi violento a vederne almeno uno all’anno alla Mostra. Altrimenti poi mi tacciano per snob.
L’hermine di Christian Vincent non è malaccio, strappa anche un sorriso, ma appartiene ad un mondo passato in cui anche film così semplici potevano piacere. Se fosse una canzone, il ritornello s’imparerebbe al primo ascolto.
Un giudice, un processo, una giurata MILF, un piloro difettoso ed una neonata morta con la testa aperta a calci.
La ‘giurata MILF‘ è nientemeno che Sidse Babett Knudsen, la venerata regina della serie Borgen, nonché la mistress\vittima di The Duke of Burgundy. In pratica, una semi-divinità. E una delle poche donne al mondo a meritarsi il rafforzativo MILF. Il motivo è semplice: siccome la donna basa la sua esistenza sul fare casetta con figli, e siccome ogni giovane fertile è disposta a sopportare qualsiasi umiliazione e ad abbandonare ogni ragionevole prospettiva di felicità pur di riunirsi a questa punitiva ragione di vita, MILF (che racchiude poeticamente le parole chiave “madre” e “inseminazione”) è il più grande complimento che si possa mai fare per natura.
Il film, sintetizzando, è antiquato e senile, m’immagino quindi con terrore la gioia soddisfatta dei pensionati al cinema d’essai dei paeselli in cui verrà distribuito. Più che vecchio è obsoleto.
Ma di Celia Rowlson-Hall
La giovane regista parla del film come di “un’esperienza non solo visiva“. Con popò di presentazione m’immaginavo avessero organizzato come minimo un’orgia con ballerine di pole-dance affette da tromboflebite a metà proiezione. Invece è solo un progetto autofinanziato con campagna di crowdfunding su Kickstarter. Tanta forma (egregia ma non straordinaria) e zero sostanza in questo film muto moderno che ha ben poco da “dire“.
90 minuti di videoarte sono davvero troppo punitivi.
Ore 3.15. Sveglia alle 8. Già meglio.
Finché reggo e, soprattutto, finché tanaka continua a foraggiare alcol, caffè, coca e giovinette lascive accorse dal bordello russo del Lido, continua…
La definizione di MILF è perfetta. Mandala alla Treccani e all’Accademia della Crusca per farla registrare