C’è qualcosa di più fra le ombre…
Quando La Cricchetta mi ha spedito a vedere Desde Allà, con la scusa che era sudamericano e io me intendo, ho accettato con trasporto. Alla prima scena, all’invito fatto al primo ragazzo di seguirlo in casa attirato da un frusciar di banconote, così che possa vedergli le spalle e il deretano mentre l’uomo si masturba, la fila ha rumoreggiato, quasi per l’imposizione culturale dell’ennesima sgradita tematica. Io mi sono eccitato subito e spiego: per la soddisfazione al trovarmi di fronte a una realtà poco raccontata, o narrata finora solo in modo sentimentale o scabroso o moralistico. Ammetto di aver sospettato che per il vasto pubblico fosse un film difficile da capire appieno, dati i preamboli socio-culturali e antropologico-comportamentali coinvolti.
Con l’andare del racconto, lentissimo, primi piani immobili, quattro frasi stringate ogni dieci minuti, quasi mai risposta alle domande, ho capito di essere di fronte a quel mito della letteratura che invita a non dire, ma a suggerire. Ma con un tocco così accentuato nella versione cinematografica da rasentare il film muto. E alla fine è proprio dentro l’assenza di spiegazioni che trovi la soluzione, i misteri della storia nelle cose non dette, mentre quelle desiderate sono schiattate in bella vista. I silenzi significativi, quasi orientali, sono pregni, evocativi, significativi, poderosi. La scelta di mettere a fuoco chessò una nuca invece della strada vuol dire molto, confessa che c’è qualcosa di centrale che sta accadendo nella testa, mentre il panorama è il solito contorno quotidiano. Elder mi ha ricordato il mio amico paracadutista brasiliano Jefferson. Efebico sempre in bilico fra adolescenza e malaffare, lo sguardo truce che non convince, un po’ montato, col culto della propria personalità che dispensa intorno ad amici e alla strada, macho davanti e possibilista dietro, fasulla quanto basta per mantenere il proprio posto nell’immaginario che genera di volta in volta scaltrezza, imitazione, invidia.
Quindi respiro città e sobborghi di metropoli tropicale, giovani malandri, solo approfittare, rubare, sopravvivere, divertirsi e sgominare le contrarietà. E naturalmente il machismo, tipico del mezzogiorno del mondo, che si getta su termini volutamente perfidi per esorcizzare le proprie ambiguità. Nel film si usa molto la parola MARICON o MARICA, che non è sinonimo di GAY né di OMOSESSUALE, termine troppo ampio per identificare un genere o una preferenza, ma molto simile a CHECCA, il corrispettivo del brasiliano VIADO, che in realtà è proveniente da VEADO, il cerbiatto, il capriolo, il dolce Bambi che è debole e indifeso, il contrario del machismo. E in effetti l’anziano Antonio sarà insultato come maricon ma da quell’oltraggio velenoso se ne vorrà distaccare, con decisione acuminata rigetterà l’offesa che non lo identifica per nulla; altra è la sua pulsione, da lontano viene il suo percorso.
In sottofondo un Venezuela pericoloso in un Sud America pericoloso. La Caracas povera in un Sudamerica povero, la separazione netta, dolorosa, fra chi si può permettere tutto e chi deve lottare senza capire contro ogni cosa. Ma dove, secondo me, il cavaturaccioli della narrazione estrae un capolavoro celato ai più è nelle linee sotterranee di questo mondo. Non c’è la gaytà urlata di Ibiza o di Milano Marittima, intendiamoci, ma qualcosa che rasenta la psicologia antropologica. C’è il tema ricorrente delle famiglie sudamericane, pesante in proporzioni diverse fra il Brasile, il Venezuela, la Colombia. E’ la mancanza del padre nelle famiglie. In Brasile ad esempio il problema è tanto esteso da aver generato una legge, quella della pensione obbligata alla figliolanza. Cioè uno può fottere chi vuole basta che paghi un tanto ai figli minori, in relazione al suo guadagno. Si può arrivare anche a solo 20 euro al mese. Spesso c’è chi decide di non lavorare proprio per non essere obbligato al pagamento coatto. Capita così che, di fronte a un’impunità pressoché totale per furti, corruzione o anche omicidi, l’unico modo per finire in galera sia non pagare la quota alla ex famiglia di turno. Con questa tangente legalizzata, ogni padre può abbandonare la moglie (nessuno si sposa in Brasile, si tratta solo dell’ultima compagna) e saltare dietro le prossime chiappe, maschili o femminili non importa, la BUNDA essendo il vero mito sessuale della zona. La moglie può a sua volta sparlare del marito e aprire le gambe (o la BUNDA) al prossimo che passa per casa, avendo salvo l’onore grazie alla pensione del fedifrago riconosciuto. Tutti a posto, tutti di nuovo in strada a trombare, senza l’obbligo della fedeltà, parole inesistente nel vocabolario della miseria. Tale situazione genera in maniera industriale un prodotto che si chiama “carenza” di padre, sentimento di cui sono intrisi ragazzi e ragazze, che cercano di curarsi con insistenza fra le braccia protettive che incontrano nella vita, fino a dimenticarsi persino il perché. Per farla brave, io riempirei le apparenti zone d’ombra della trama con questa percezione. Il primo personaggio: Elder. Racconta di essere stato sempre picchiato dal padre, che ha anche ucciso un suo “amico perché così gli era girato”. Cosa avesse spinto il padre ad uccidere un amico del figlio possiamo solo sospettarlo, in un Sudamerica così macho. Riamane a Elder l’obbligo del comportamento di strada, che impone di approfittare di ogni occasione e così farà, fino a scontrarsi con l’evidente interesse ossessivo ma non MARICON di Antonio, che fa breccia sul desiderio del ragazzo di essere considerato, desiderato e amato. Ma scorgiamo in lui la capacità di sognare l’evasione: la sua automobile come simbolo di fuga verso la libertà.
Secondo personaggio: Antonio. Quale sia stata l’offesa subita in gioventù non ci è dato di sapere in maniera diretta, ma il suggerimento è sofferto oltre ogni lecito equilibrio; ricordandolo alla sorella Antonio fa cadere a terra in maniera certosina tazzine e piatti, fissandola negli occhi. Qualcosa in quella casa è stato spezzato incontrovertibilmente, una cosa che non si dice, una cosa che rimane dentro e che ha ucciso per sempre il rispetto per il padre. Il rifiuto di Antonio di sposarsi, il rituale di osservare il deretano delle sue marchette palesa un ricordo rimasto dolorosamente sullo sfondo, che non è stato risolto ma al quale Antonio non vuole supinamente soccombere. E’ per questo che ricerca la visione della giovinezza, osservandola da vicino ma non troppo, rifiutandosi ostinatamente di cadere nel loop dell’identificazione erotica dei ricordi. Perché la memoria di Antonio è bloccata all’infanzia, guarda da lontano il padre che non accetta più, la testa su quella cosa che è successa e che continua a tormentarlo e che rivive osservando le giovani carni che insegue, metodico, ma non per omosessualità, quanto per un tentativo inconcludente di esorcizzarla. Desde allà significa “da lontano”, una distanza che è ripetitiva anche nel film, ma anche un blocco emotivo che “da quella volta” protrae la sua influenza fino a lì e che è riproposta continuamente negli sguardi senza parole. Antonio ci si arrenderà solo alla fine, quando Elder si sarà proposto di uccidergli il padre, alla ricerca disperata di una breccia verso un’amorevole figura paterna della quale crede di aver trovato il surrogato. E proprio dopo questa resa, una perdita del controllo personale causata dalle emozioni contrastati e dirompenti della risoluzione, Antonio capisce che ciò a cui ha sempre resistito non può innescare una nuova schiavitù in Elder, e prende la decisione di denuncialo, allontanandolo così da un’illusione che non risolverebbe proprio nulla.
From Afar (2015) | |
---|---|
Rating: 6.6/10 (4,125 votes) Director: Lorenzo Vigas Writer: Lorenzo Vigas, Guillermo Arriaga Stars: Alfredo Castro, Luis Silva, Jericó Montilla Runtime: 93 min Rated: Unrated Genre: Drama, Romance Released: 02 Sep 2016 |
|
Plot: Armando, a 50 year man, seeks young men in Caracas and pays them just for company. One day he meets Elder, a 17 years boy that is the leader of a criminal gang, and that meeting changes their lives forever. |
La recensione definitiva. Non so se ho voglia di vederlo ma è stato un piacere leggerne così.
Non è un film compiaciuto, né fa proselitismo, se è questo il timore. Direi che in tanto silenzio fa lavorare molto il cervello. E in un periodo di effetti speciali invadenti, non è poco…
pollice su per Max!
questa recensione insegna che… ci sono molte cose da scoprire. e che anche un film può aiutare a farlo. speriam di poterlo vedere presto in una sala italiana…