E’ vero che la Mostra del cinema è già nel dimenticatoio ma, da troppi giorni, aprendo le note del telefonino, mi disturbava vedere abbandonata quest’ultima parte di Diario® così abortita, purulenta, perineale, dolorosa, fecale e insanguinata. Provando a dargli forma, però, mi sono arrivate agli occhi solo frasi casuali, molte delle quali senza senso. Ad esempio, che volevo appuntarmi con: “Sguardi cameriera rossetto“? Una persona, forse, o è la solita vecchia metafora sull’etica del discorso kantiana? Non so ma, di sicuro, a causa di questo quotidiano fastidio digitale giallognolo mi trovo costretto a scrivere per un’ultima volta dei cazzi miei+film visti al Lido. Ora è chiaro.
Ogni volta che sento commenti entusiasti su un film senza spina dorsale (ma tanto carinissimo) mi viene in mente sempre la stessa idea: non sarebbe meglio se esistesse una sorta di Coscienza Collettiva® che si tramandasse di generazione in generazione, da padre a figlio, in modo che le conoscenze/sensibilità acquisite in millenni non dovessero essere riconquistate da zero ogni volta da pochi eletti ma rappresentassero piuttosto la base minima pre-acquisita dalla quale far partire ogni neonato e dalla quale farlo muovere per arrivare ad un picco ancora più alto? Di sicuro ci sarebbe in giro meno ignoranza, meno ipocrisia, meno ingenuità, meno stupidità, meno scimmie di merda omologata col capello perfetto e la macchina nuova che vogliono tanto bene alla mamma. Film come L’hermine o Philomena, finalmente, smetterebbero di partecipare a Mostre d’Arte® finendo nel loro ovvio grembo natale: il cesto dei DVD a 5 euro dell’Auchan.
Poi però rifletto: ma tutte le puttanate che ho pensato e fatto, le convinzioni assurde che verrebbero tramandate, le botte… quelle si potrebbero cancellare? E, se si, chi selezionerebbe cosa far passare e cosa no? Così, vabbè, ogni volta rimando il progetto divino al prossimo anno e mi sorbisco questi filmetti che – in fondo – non hanno nulla che non vada se non il raccontare storie poco interessanti in contesti estetici già visti. C’è di peggio, anche solo tra le mie ultime email.
Certo non banali, invece, i film visti l’ultimo giorno della Mostra©, a cominciare da:
Na ri xiawu (Afternoon) di Tsai Ming-liang
Quattro chiacchiere in privato tra Tsai Ming-Liang ed il suo attore/amore feticcio/marionetta. Il primo malato che scoppia di energia e l’altro tanto vitreo da sembrare ritardato mentale. La telecamera resta fissa sui due personaggi seduti all’interno della loro casa fatiscente (come tutte le case filmate dall’artista taiwanese) per tutta la durata della pellicola. Non un documentario, non un’intervista ma un flusso di parole e silenzi, storie di vita, dichiarazioni, dubbi, imbarazzi, domande irrisolte sulla loro amicizia/dipendenza, curiosità sulla loro carriera, il percorso di vita e i ricordi.
Il regista presente in sala (saletta, a dire il vero) è scappato dopo cinque minuti dall’inizio della proiezione, non prima di aver allietato la platea con un’introduzione in puro stile Lesbica-effeminata®: commosso, timido, emozionato, indifeso, rigido, tremolante e gaio. “Una checca che non si tiene!“, mi sussurra incredula all’orecchio la bocca ruvida della Poetessa® che avevo al fianco.
Un film solo per chi gli vuol bene. E siamo tanti.
Jia (The Family) di Liu Shumin
La testa gonfia di raffreddore, il mal di gola e la tosse ininterrotta posso tenerli a bada: questo film cinese di cinque ore sulla vita domestica di due anziani e la loro famiglia non potevo perderlo.
E’ un brutto film? No
Ho dormito? No
Mi sono annoiato? Poco
Se fosse durato la metà mi sarebbe piaciuto di più? Probabilmente si, ma la lunga esperienza in film di questa durata (e oltre) mi ha insegnato che il cervello – dopo la terza ora – inizia a provare euforia ed è capace di un’attenzione che nelle prime due ore è praticamente impossibile: è come se si svegliasse, come se cambiasse, come se si desse per vinto e smettesse di opporre resistenza. Sarà un disturbo biochimico, non m’interessa, ma so che dopo qualche ora si inizia a provare puro piacere.
Da tener presente anche che, in tante ore in cui viene inquadrata la nonna al lavoro in cucina, ho imparato un sacco di ricette nuove.
Poi le bambine a danza, la giornata in spiaggia, la domenica coi nipoti, il nonno che non libera mai il bagno, il mutuo dei figli, i pretendenti truffaldini, la TV, l’appartamento nuovo, un mobile da montare, un uomo che si ammala ma non muore, un uomo che muore e non si ammala. Inquadrature praticamente sempre statiche tranne nei pochi momenti onirici e commoventi di una fotografia spiona e mai banale.
Vuoi sapere com’è la vita oggi nelle grandi città della Cina? Eccoti servito. Vuoi sapere quali saranno le cose importanti a cui ti legherai quando avrai nipoti? Eccoti servito. Vuoi farti una bella dormita alla faccia dei Cazzoni con maglie a strisce® che adorano il cinema asiatico sussurrato in punta di piedi? Eccoti servito.
Sommando tutto (il cappuccino doppio, il guaranà, il redbull-campari, la creatina, le caramelle col chicco di caffè, le battute col compagno di merende, l’atto eroico e la preparazione psicologica), è stato un gran bel momento.
El Clan di Pablo Trapero
Ritmo pazzesco, sguardi truci, tute colorate a zampa d’elefante, ammazzi e basettoni. Un film che corre a cent’ottanta all’ora, con il più allegro tentativo di suicidio che abbia mai visto. Facce memorabili e una colonna sonora azzeccatissima.
Un leone d’argento meritato. Tolto Anomalisa che è solo per cervellotici romantico-frocetti® e il severissimo Sokurov con quel suo film in tonalità minore, El clan spacca.
Cosa resterà di questi giorni felici? Un fisico più snello, che dai 72 è tornato ai 68 chili, una faccia tanto scavata da spaventare il buio di notte, la consapevolezza che – oggi come oggi – gli argomenti più scottanti, scabrosi e scandalosi vengono serviti al cinema in piatti freddi di plastica, come nemmeno le più scialbe delle favolette, e più il concetto è inaccettabile per la massa pecorona e più la patina mielosa li copre annientandoli. Ne sia da esempio madornale The Danish Girl. Resterà anche la delusione ricevuta dal vecchio compare che, trovandosi a pochi metri da Amos Gitai, non l’ha ammazzato come gli avevo gentilmente chiesto. Eppure avevo tenuto le dita incrociate per ore! Questo significa che – dio mi perdoni per il solo pensarlo – potrebbe fare altri film.
Per ciò che riguarda la premiazione, i primi tre classificati mi son piaciuti tutti. Ma la cosa ben più importante da evidenziare non è chi ha vinto, ma che i premi sono davvero troppi! Già premiare il miglior film delle varie sezioni annoia, figuriamoci la miglior attrice e il miglior attore di quella cazzo di orizzonti. Se non ci fossero una marea di marchette da pagare, la ragionevolezza urlerebbe di premiare il miglior film di ogni sezione ed il podio del concorso, come nelle Olimpiadi. Stop.
Immancabile poi la noia piatta delle solite polemiche, i fischi/applausi in sala stampa. Come ogni anno. Nemmeno mi arrivano più al cervello, passano da un’orecchia uscendo dall’altra: ai giurati son piaciuti film belli? Film brutti? Oltre ai Ciccioni di Internet® (che ne potrebbero morire) a chi interessa davvero? Ai quotidiani del giorno dopo, forse? Alle case di produzione? Tanto i soldi li danno a chi vogliono, premi o non premi. Il pubblico segue chi vuole, premi o non premi. Ok, vincere a Venezia garantisce l’uscita del film sulle poverissime sale italiane, il che si traduce in una certezza di incassi miseri e visibilità pressoché nulla all’interno di cinema con poltrone in legno infestati di vecchi cardiopatici vispi e boriosi. Sticazzi.
Per un appassionato di cinema che non riversa le sue frustrazioni su un manipolo di giudici invitati a mangiar baccalà mantecato, il godimento della Mostra del cinema comprende tutto: il clima, gli amici, l’entusiasmo, la passione, i gelati, le bevute, le feste, il tappeto rosso, quelli che pensano di saperne e si danno un tono, le occhiate vogliose nella sala stampa in una continua competizione al premio del più cool con in palio un bel cazzo di niente, la gente in cravatta che odora di naftalina a muso alto, le guardie annoiatamente severe ed il folclore grottesco italiano che spiega una marea di forze dell’ordine per prevenire un possibile attentato a Vasco: un anziano con alopecia noto un tempo per essere stato il più citato sugli Zainetti Invicta dei ragazzi delle medie.
I film, insomma, sono solo una parte del motivo per cui questi dieci giorni sono tra i più belli dell’anno, secondi solo a quello indimenticabile in cui nella spiaggia di fronte all’Excelsior, da sbronzo, una cicciottella asiatica di cinquant’anni per un metro e mezzo (sia in altezza che larghezza), praticamente un cubetto che scivola sulla sabbia, si è avvicinata per consegnarmi:
Ho sentito la gioia riempirmi. Non tanto per la rara (e utile) possibilità di prenotare un massaggio prostatico, non tanto per quello con le tette, che si trova ovunque, non tanto per il Servizio Speciale®, che sarà la solita eiaculazione triste e callosa col perfido Papilloma a bramare dietro l’angolo, ma piuttosto per le Coccole e, soprattutto, il Servizio Rura®. Che sarà mai? Perchè non l’ho fermata li, seduta stante, per un Rura come dio comanda? E quanto costerà un’ora di coccole? Si possono fare due ore consecutive di prostatico? Avrei potuto avere in anticipo lo “speciale” gratuito che mi sarebbe spettato di diritto avendo in mente di fare un abbonamento di dieci incontri? Significano quello i cuoricini bianchi, vero?
Altro che la questione sul vincitore del concorso. Il non avergli chiesto i dettagli è stato il rimpianto che rimarrà duraturo dopo questa bella, nuova e divertente settantaduesima edizione della Mostra del cinema di Venezia.
Al prossimo anno!