“Ti aspettano tempi durissimi. La natura è molto astuta, sa sempre scovare i nostri punti deboli. Ricordati di una cosa: io sono qui. Adesso magari non vuoi provare niente, forse non hai mai desiderato provare qualcosa e forse non è con me che vorrai parlare di queste cose. Ma certo qualcosa hai provato.
Tra voi c’è una bella amicizia. Forse anche qualcosa in più. E io ti invidio. Al posto mio, la maggior parte dei genitori spererebbe che tutto si dissolva, o pregherebbe che il figlio ne esca indenne. Ma io non sono così. Al posto tuo, se il dolore c’è, lo farei sfogare, e se la fiamma è accesa, non la spegnerei.
Cercherei di non essere troppo duro: chiudersi in se stessi può essere una cosa terribile quando ci tiene svegli di notte, e vedere che gli altri ci dimenticano prima di quanto vorremmo non è tanto meglio. Rinunciamo a tanto di noi per guarire più in fretta del dovuto, che finiamo in bancarotta a trent’anni, e ogni volta che ricominciamo con una persona nuova abbiamo meno da offrire. Ma non provare niente per non rischiare di provare qualcosa… che spreco!
Lascia che ti dica un’ultima cosa. Magari ci sono andato vicino, ma non ho mai avuto ciò che hai avuto tu. C’era sempre qualcosa che mi tratteneva o mi ostacolava. Come vivi la tua vita sono affari tuoi ma, ricordati, cuore e corpo ci vengono dati una volta sola. La maggior parte di noi non riesce a fare a meno di vivere come se avesse a disposizione due vite: la versione temporanea e quella definitiva. Invece di vita ce n’è una sola e, prima che tu te ne accorga, ti ritrovi col cuore esausto, e arriva un momento in cui nessuno lo guarda più, il tuo corpo, e tanto meno vuole avvicinarglisi. Adesso soffri, non invidio il dolore in sé, ma questo dolore te lo invidio.
Magari non torneremo mai più sull’argomento ma spero che non me ne vorrai per averlo tirato fuori. Sarò stato un padre terribile se, un giorno, tu dovessi pensare che volevi parlare con me e ti è sembrato di trovare la porta chiusa o non abbastanza aperta.” (cit. da Chiamami col tuo nome di André Aciman)
Un monologo onesto in un prodotto disonesto. Il film è tutto qui. Le altre due ore di girato le si possono trovare a ciclo continuo nella collana Harmony, edita da Mondadori. Come ad esempio il cliché gay=colto o il ritrarre l’Italia come viene pubblicizzata dalle agenzie turistiche negli USA, (lo confermano sia il Sole 24 ore che le nomination agli Oscar americani): borghetti storici carinissimi, vita rilassata in mezzo a frutteti, vigneti, Vespa e sole. Un lungo spot ad uso e consumo degli statunitensi. Chiamami col tuo nome mi ha quasi fatto rimpiangere il luogo comune Italia=mafia. Invece, purtroppo, la maggior parte degli italiani abitano in posti come Marghera, o il quartiere ZEN (Zona Espansione Nord) di Palermo o chiusi in spaventosi parallelepipedi con decine di appartamenti soffocati dallo smog in centro città: prima prigioni, poi tombe.
Leggo recensioni multicolore entusiaste, ma se questa storia d’amore fosse stata tra un uomo e una donna saremmo tutti qui a deridere il film dopo essere usciti di sala a metà proiezione, con l’esercito spernacchiante dei gay in prima fila al bar. Nè più nè meno di quello che era successo per Cinquanta sfumature di Grigio o per tutto l’immondezzaio cinematografico partorito da Muccino o, peggio, Moccia. Dopotutto la trama si può riassumere in un: “No no no, non posso, no no no, sono malato! E, alla fine, si“.
Come dici? Per essere un film italiano è fatto bene e Viva L’Italia? Ah, ok, eccoti la ricetta per fare un film italiano che non faccia pena:
- prendi la storia da un libro straniero,
- chiedi ad uno straniero di scriverne la sceneggiatura,
- facci recitare attori stranieri,
- fallo girare ad un italiano che vive e lavora principalmente all’estero
…et voilà, eccoti servito Chiamami col tuo nome. Dimenticavo, poi vanne anche fiero: il patriottismo è il vero ingrediente segreto, lo sapeva bene Adolf. In realtà è il regista stesso a confermare che non è un film italiano ma una produzione equamente suddivisa tra Francia, Italia e Brasile, madre patria delle telenovela. Quindi giù almeno il tricolore, per l’amor di Dio.
Come dici? Le inquadrature, il 1982, i costumi e la colonna sonora sono belli? D’accordissimo! Tecnicamente il regista è bravo, sa fare il suo lavoro, e lo è anche la troupe di cui si attornia, Guadagnino ha soprattutto il grande talento di avere occhio clinico per i dettagli, ma la tecnica non fa un film: se sei un ingegnere vai a costruire palazzoni antisismici in periferia. Se dovessimo giudicare come bello un film solo per i paesaggi allora saremmo tutti qui con gli occhi dell’amore anche per Carabinieri o Don Matteo, entrambi girati in posti splendidi ma chiaramente tarati per un target che, a differenza di quello del film in oggetto, non deve manifestare platealmente nessun orgoglio particolare: le nostre care nonnine. Tolto il look in grande spolvero, rimane una storia banale, terribilmente dimenticabile e dalla postura infantile. Sintetizzando, Chiamami col tuo nome è un film Gay con una storia prevedibile, noiosetta, per adolescenti. Giudicare un’opera artistica non significa sposare una causa, altrimenti tutti gli informatici dovrebbero dire che gli è piaciuto The Imitation Game perchè parla di Alan Turing.
Dopo tante parole superflue, a pensarci bene, cosa ci si poteva aspettare da uno che ha girato il film sul libro: Melissa P. (100 colpi di spazzola prima di andare a dormire)?
PS #50Sfumature di Rosso è al cinema dall’8 febbraio 2018. Ci siamo capiti