“Conoscevo Doris Day prima che diventasse vergine” (Oscar Levant su Doris Day)
Sei settimane fa i migliori giornali di Hollywood avevano dedicato articoli e la stessa foto, spacciata da ognuno come esclusiva, del 97mo compleanno di Doris Day, che solo due anni fa era entrata in possesso del suo certificato di nascita e, alla tenera età di 95 anni, aveva scoperto di essere nata nel 1922 e non nel 1924, come aveva creduto fino a quel momento.
Due giorni fa, la notizia rimbalza dappertutto che anche la zoofila più cinematografica d’America (a parte gli scherzi, ha fondato un’associazione di tutto rispetto, la Doris Day Animal Foundation ha lasciato questa terrena valle di lacrime per raggiungere tutti i suoi più celebri colleghi che l’hanno preceduta tra le nuvole (o sotto terra, a seconda della visione che ognuno ha della vita dopo la morte). Andata anche lei.
Da sue precise disposizioni testamentarie, riportate nel comunicato stampa rilasciato dalla DDAF, ha richiesto che non ci siano funerali né che le venga data una tomba. Verrà cremata? Verrà inumata semplicemente da qualche parte e nessuno saprà dove? Escluderei la sepoltura in mare, però. Ovunque i suoi resti mortali giaceranno, non è compito nostro e mi dispiace solo perché, se mai andrò in California, non potrò portarle un fiore per ringraziarla delle tre foto autografate che mi aveva mandato qualche anno fa e che, secondo le malelingue (a volte, però, fa semplicemente male affrontare la realtà e, dunque, la gente brutalmente sincera viene etichettata come malelingua), erano firmate dalla sua segretaria. Non lo so, e mi piace continuare a pensare che ci siano, in camera mia, due foto su cui Doris Day ha posato le sue mani e la sua penna per scrivere il mio nome.
Al di là delle considerazioni più spicce, come tutto ciò che è stato scritto sopra, voglio fare il mio personale tributo a Doris Day ricordando un film che nessuno ha ricordato nelle centinaia di articoli che si sono sprecati in questi giorni: Chimere, traduzione italiana di Young man with a horn (Giovane uomo con un corno evidentemente suonava male), film del 1950, diretto da Michael Curtiz – per i più giovani, il regista di Casablanca -.
Prima di qualsiasi considerazione, l’imperativo categorico che è in me mi obbliga a dire che lo si dovrebbe vedere solo perché la frase di lancio italiana dell’epoca era “Posa la tromba che ho voglia d’amore”.
Sarei poco onesto se non dicessi che ho scelto questo film non tanto per lei, né per Kirk Douglas, che interpreta il protagonista, ma per Lauren Bacall, con cui ho ossessionato tutta la gente che mi conosce e probabilmente anche qualcuno che non mi conosce.
Questo trio delle meraviglie regge un’ora e cinquanta di dramma biografico sulla non gioiosa vita del trombettista jazz Rick Martin (non Ricky), modellato sul vero artista Bix Beiderbecke, raccontando le sue tribolazioni fin da bambino e la sua unica passione per la musica, anche a discapito delle donne che lo amano e di quelle che lui pensa di amare.Tra le prime, ovviamente, rientra il personaggio di Doris Day, bionda, pura e verginale, candidamente innamorata del trombettista maledetto; tra le seconde, invece, la torbida Lauren Bacall, che si rivela, senza troppi sottintesi nonostante la strettissima censura moralista dell’epoca, una grandissima bisessuale, addirittura più lesbica che etero.
Si tratta di un film molto avanti per l’epoca, con una fotografia da noir piena di luci e ombre, che mostra senza paura i tormenti dei personaggi pur mantenendo un minimo di teatralità tipica dei film anni ’50 e può dirsi tra i precursori dei veri melodrammi in Technicolor degli anni ’50 capitanati da Douglas Sirk alla regia. Un film sottovalutato all’epoca, non ancora riscoperto, ma che merita, almeno per ricordare le due donne protagoniste, che quel furbone di Kirk Douglas, a oggi 102 anni e mezzo, guarda ancora beffardamente, ma con affetto, da questa terra insieme a tutti noi.