Un’incredibile sorpresa nel Padiglione centrale ai Giardini: ci sono dei quadri. Cioè quadri veri, come una volta. Olio su tela. Ed infatti molto sono datati, mica contemporanei. Grande scelta e molta varietà, quindi guardare tutto implica uno sforzo sia di tempo che di attenzione.
Una stanza che ho molto apprezzato è quella dedicata a Bertina Lopes, pittrice del Mozambico morta già da più di dieci anni, che non conoscevo, ma che mi ha subito impressionato. Quadri in cui si possono ritrovare le radici culturali dell’artista, un mix di tessuti, piume che si aggiungono all’olio su tela per riaffermare il suo legame con la sua terra, anche se ne è dovuta fuggire.
Io completamente impazzito per Femme at Mur di Mohammed Issiakhem, artista algerino morto ormai da quarant’anni, vivace intellettuale del suo paese. Questa opera è fantastica, un’espressione tra il ferito e il consapevole che incanta.
Piccolo particolare interessante: una guardia dedicata al piccolo quadro di Frida Khalo (tra l’altro meno interessante di molte altre opere esposte), che fa un po’ effetto Gioconda.
Per chi si preoccupava che il nuovo presidente della Biennale, molto vicino a Meloni, avrebbe influenzato la scelta degli artisti, beh si rilassi. Mai come in questa edizione l’arte queer viene esposta, tanto che ci sono stati momenti in cui mi è parso di essere dentro un’esibizione LGBTQ+.
Ai Giardini una performance autogestita di una transessuale nuda con uno scheletro appoggiato sopra (la cosa più rilevante è capire come abbia fatto col freddo intenso che fa in questi giorni).
Padiglione Svizzera Super Superior Civilizations dell’artista Guerreiro Do Divino Amor (già il nome è favoloso) nella parte Roma Talismano la performer Ventura Profana, transgender brasiliana, interpreta Demetra, con seni applicati, un po’ lupa un po’ cantante favolosa.
Louis Fratino è un giovane artista che rappresenta scene quotidiane di vita omosessuale con uno stile molto personale, uno stile molto espressionista. Opere parecchio militanti e politiche.
La Chola Poblete è un’artista transessuale (tra l’altro anche premiata in questa edizione della Biennale) che dipinge su carta, una specie di stile infantilista che rappresenta la difficoltà di posizionarsi nel mondo attuale di una persona trans, delle lotte quotidiane per affermarsi.
Il video di Ahmed Umar, artista sudanese che vive in Norvegia (credo avrebbe non pochi problemi in patria ad esibire i suoi lavori) è la rappresentazione della danza della sposa nel rito del matrimonio, con i medesimi vestiti e orpelli della tradizione, con il ballo e le sembianze perfettamente uguali.
Tornando al tema migranti, ho molto apprezzato il lavoro di Bouchra Khalili: un’intera stanza all’interno dell’Arsenale in cui sono stati montati parecchi monitor in cui vengono proiettati video nei quali, con cartina geografica alla mano, vengono spiegati e tratteggiati con pennarelli le rotte che devono fare i migranti per riuscire a venire in Europa, le vicissitudini, i lavori temporanei con i relativi guadagni. Sono stato un bel po’ seduto a guardare, è un’opera che ipnotizza e fa pensare, anche cercando di rimanere freddi rispetto a queste situazioni, è quasi impossibile non venirne coinvolti.
Ultima considerazione è cioè la nutrita presenza di arazzi, opere su tessuto, dovuto senza dubbio all’interesse mostrato a popolazioni africane e sudamericane.
A me sono molto piaciuti i batik di Sangodare Gbadegesin Ajala, una sorta di elaboratissimo universo alla Bosch molto affascinante.
Com’è stata questa Biennale? Come sempre: cose che mi sono piaciute, che che non mi sono piaciute e cose che non ho capito.