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#Cannes2018 – AYKA di Sergey Dvortsevoy

di il 24/10/2018
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E’ un test per lo spettatore, lo hanno girato per valutare quanta tristezza, squallore e miseria riesce a digerire in una visione di un film.
Premio a Samal Yeslyamova come miglior attrice, a sorpresa.

In una Mosca contemporanea vengono descritti i cinque giorni successivi al parto (e all’abbandono del figlio in ospedale) di Ayka, kirghisa. Il tutto condito da un sacco di problemi, tipo i soldi chiesti in prestito e l’impossibilità totale di restituirli, l’assenza di documenti regolari e la conseguente paura di essere deportata, i locali fatiscenti, condivisi con decine di persone nella sua stessa situazione, il lavoro che non si trova mai, le camminate per la città sotto tormente di neve. Il regista sempre dietro, a riprenderla di spalle in questo suo peregrinare, commette il più ingenuo degli errori banali che si possano commettere nella settima arte. Le inquadrature di spalle mentre il personaggio cammina andrebbero vietate e severamente punite, vendicando gli occhi del pubblico in sala col sangue, se necessario.
Somiglia molto ai primi film dei fratelli Dardenne, c’è a chi piacciono.

Una delle poche cose positiva del film è che per il personaggio a cui si ispira non c’è nessuna simpatia: Ayka è una stronza, ladra, disonesta, una che si approfitta anche di chi le da un po’ di aiuto. Come la sua situazione disperata le impone.
Sono un po’ stufo di questi film ricattatori, batteri furbetti che si inoculano negli animi dei più ingenui. Certo, fotografano situazioni contemporanee diffuse e poco note, ma è un genere che si è visto fin troppe, anche solo quest’anno qui a Cannes.

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