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#Cannes2019 – Rocket Man

di il 23/05/2019
 

18 Maggio 2019. Palais des Festivals et des congrès de Cannes. Ufficio Accrediti.

Le Turbillon risuona nell’ufficio. Jean Paul Charon getta stizzosamente il canapé al tartufo nel cestino.

“Sì?”

“Buongiorno M’sieur Charon. Ha un secondo da dedicarmi?”

“Amélie, sacrebleu! Sono ancora duro da ieri sera… e quel frustino a nov…

“M’sieur. C’è uno della Cricchetta…”

“Cosa? Chi? Ancora quegli sfigati? Ma non rispondergli neppure! Mettilo nella spam! Non…

“È qui all’entrata del Palazzo, M’sieur Charon. Vuole entrare ad ogni costo percheeee…

“PERCHÉ?”

“Ehm… Dice che deve consegnare urgentemente una cosa a Elton John… Dice che sono vicini di casa alla Giudecca e…

“CHIAMA LA SICUREZZA, CAZZO!”

“È già qui quello della sicurezza. Sta parlando con l’altro… “

“L’altro chi?” rumore secco di penna spezzata

“Ehm… L’altro della Cricchetta. Stanno fli… Flirtando… Credo si siano scambiati i numeri di telefono…”

“…”

“M’sieur Charon? Pronto? Jean Paul?”

19 Maggio 2019. Théâtre de la Croisette.

Piove. Ininterrottamente da tre giorni. Sembra di essere in una scena tagliata di Blade Runner. Siamo in coda per il primo film della mattina. Accanto a me Angelo fischietta un brano di Bon Iver. Una vecchietta con un cappotto liso superando la coda mi fa il dito medio. Sarà una lunga giornata.

Le Daim di Quentin Dupieux. Un uomo sui cinquanta viaggia fino ad un angolo sperduto della Francia per acquistare da un vecchio eremita una giacca in pelle di daino con le frange per la modica somma di 7500 euro. Dopo l’acquisto decide che l’unico scopo per cui valga la pena vivere è quello di essere l’unica persona al mondo ad indossare una giacca e per questo è disposto a scendere fino alle estreme conseguenze. Se tutto questo vi sembra assurdo, vi fermo subito: no, è semplicemente una stronzata. Amo follemente Ionesco, Pinter e i Monty Python ma questa non è altro che una idea buona per uno short di 25 minuti trascinata con indicibile sofferenza fino a 78. C’era già caduto in pieno Ferreri nel 1986 con il miserabile I Love You. Per dovere di cronaca, riporto che il pubblico di lingua francese rideva alla follia. Ininterrottamente.

 

First Love di Takashi Miike. Come durante la proiezione di Le Daim, ho visto moltitudini di spettatori contorcersi dalle risate. A metà proiezione ho temuto per la vita del mio vicino di prima fila ed ero già pronto a praticare la manovra di Heimlich prima di rendermi conto che si stava semplicemente sbellicando per la millantesima sparatoria ad alto contenuto di ottani. Takashi è indubbiamente il principe incontrastato del pulp asiatico e dirige con la stessa energia di 30 anni fa ma se devo proprio vedere un yakuza movie datemi il Kitano d’antan di Sonatine o Hana-Bi tutta la vita.

 

Zombi Child di Bertrand Bonello. Qui le aspettative erano alte, chi non ha amato Nocturama? Bonello scrive, dirige e suona pure e come al solito non ha paura di rischiare ma il risultato non convince del tutto. L’incedere è senza dubbio enigmatico ed elegante ma il raccordo tra i piani narrativi delle due storie è un po’ forzato. La sua architettura teorica sugli zombie è brillante ma alla fine sempre di gobbi ricurvi con l’incedere da turista a Venezia si tratta. Con in mezzo anche qualche non troppo velato riferimento al colonialismo. Mi sa che in questo campo funzionano di più metafore meno raffinate ma più efficaci alla Romero. Però il finale con You’ll Never Walk Alone vale il prezzo del biglietto anche se non so quanto apprezzeranno i tifosi del Liverpool.

Give Me Liberty di Kirill Mikhanowski. Fin dal momento in cui il regista con tutto il suo meraviglioso cast di pazzoidi è montato sul palco per la presentazione ho capito che non sarebbe stato un film comune. Mikhanowski è un vulcano in ebollizione, un maremoto inarrestabile di parole e gesti che ha lasciato tutti spiazzati ed è stato praticamente portato via a forza perché altrimenti la proiezione non sarebbe mai iniziata. E così è stato il film, un caravanserraglio anarchico di personaggi irresistibili, girato praticamente in real time e basato sulla reale esperienza del regista come autista di pulmini per disabili al suo arrivo in USA dalla Russia. L’empatia del regista per le minoranze – immigrati russi, blacks, disabili – è evidente ma non scade mai nel paternalismo grazie allo humour vitale e dissacrante che pervade ogni scena. Non voglio scomodare giganti che dormono ma la prima ora di film mi ha fatto pensare molto a Cassavetes e non è una cosa che mi capita troppo spesso. Forse la scena della rivolta non era necessaria nell’economia del racconto, però averne di film così…

E, di grazia, cosa c’è di meglio per celebrare un expat russo di un bel moscow mule?

 

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