Le sorelline cinefile hanno lasciato a me, Brucelina, l’onore di chiudere questo diario perché, come saprete, tra le varie proposte del FEFF di quest’anno, c’erano pure le proiezioni di ben quattro film dell’amatissimo Bruce Lee, restaurate magnificamente in 4K e con la roboante voce originale del Maestro.
Confesso che rivedere Dalla Cina con furore, oltre a proiettarmi in un lanuginoso passato lontano, mi ha commossa e stupita. Commossa nel vedere la semplicità eroica dell’eroe, figura che oggi, invece, è minata da complessità crepuscolari altrettanto stereotipate. Stupita perché, a dispetto degli anni, il cinema espresso funziona ancora egregiamente, e le ingenue coreografie di lotta e sganassoni, sono ancora efficaci, quasi come i fasullissimi Rocky che coinvolgono nonostante tutto.
Prima di parlare di The Bodyguard di e con la superstar Sammo Hung, ospite d’onore del FEFF, voglio ringraziare pubblicamente Adriana Rosati un’atleta delle arti marziali, una designer, un’artista, critico cinematografico, genio della torta e del biscotto, che ha donato a noi pecorelle i ritratti in pastafrolla e glassa che abbiamo mostrato in questo diario. A lei il belato affettuoso di noi tutte e un gomitolo virtuale di baci.
Il film di Sammo mi è piaciuto. Un attore con la fisicità (e l’età) di Mr. Hung, se non vuole fare la fine del tronco ipertrofico alla Steven Seagal, deve ritagliarsi dei ruoli consoni e credibili. Il poliziotto in pensione Ding, con un inizio di Alzheimer, ha come vicini un mezzo delinquente (interpretato dal sempre versatile Andy Lau) e sua figlia. Quando il padre sparisce perché inguaiato con la mala, il vecchio pensionato adotta la ragazzina. Quando anch’essa sparisce, l’anziano, nel cercarla, rivelerà insospettate doti di combattente. Le botte sono ben coreografate e, pur non abbondando, hanno l’originalità e i tempi perfetti delle gag di Mr. Magoo. Tale sembra il panciuto Maestro che sembra stendere omaccioni giovani, grossi e cattivi quasi per caso mentre in realtà assistiamo a colpi precisi di alta scuola. Non riesco a immaginare un altro ruolo altrettanto consono per l’autore ma, in ogni caso, spero di riuscire a fargli leggere e a realizzare con lui il mio script ‘Dalla stalla con furore (Hoof of Fury)‘.
Altre belle lezioni di wing chun, com’era prevedibile, le vediamo in Ip Man 3 di Wilson Yip con il sempreverde Donnie Yen. L’appeal di questa terza parte risiede quasi tutta nella granitica presenza di Mike Tyson, da un lato, e dalla bella prova atletica dell’astro nascente Jin Zhang, nel ruolo di ‘concorrente’ al titolo di ‘Grandmaster’. L’atmosfera è la medesima dei primi due capitoli, così come il plot: cattivoni che fanno i prepotenti coi deboli e Ip Man che riporta l’ordine e il decoro a suon di cazzotti. Ci sono anche bei duelli con le spade cinesi e la patetica morte prematura della moglie del protagonista. A questo punto, per proseguire, Yip dovrà ambientare i combattimenti nel mondo ultraterreno dello Scimmiotto o trasferirsi in Italia e fare smaccatamente un ‘Ip Man contro Maciste’ che, per Cinecittà, sarebbe una manna.
The Master, dello scrittore e regista Xu Haofeng, già sceneggiatore di The Grandmaster di Kar-wai è uno strano prodotto. Parla di un maestro che arriva a Tianjin per aprire una scuola in cui tramandare le tecniche della propria arte. L’impresa non è facile perché una serie di complesse e, per noi almeno, incomprensibili regole ne ostacolano la riuscita. Sarà la trama campanilistica, sarà il software sofisticato, ma la storia non decolla mai e le pur belle scene di combattimento non bastano a dare forza a un lavoro, in bilico tra estetismo coreografico e affresco storico, che non riesce a trovare una propria identità. Io mi sono divertita comunque ma il gregge ha dormito per molti tratti.
A proposito di gregge: il Pecorelle’s award come miglior film va al giapponese Hime-Anole di Yoshida Keisuke, l’unico lavoro visto quest’anno che possieda quel guizzo di originalità che un tempo era molto più di casa al FEFF. Per metà film assistiamo alla classica commedia in salsa teriyaki con personaggi strampalati e perdenti, divertente e arguta. Poi partono i titoli di testa e capiamo che il lunghissimo preambolo era la necessaria introduzione a uno slasher durissimo, con un maniaco serial killer inetto ma non per questo meno micidiale. Grande soddisfazione nel gregge per un’opera che ha saputo interessare tutti i palati eterogenei e gran rammarico nel sapere che un bel pezzo di cinema come questo non riuscirà ad avere la dovuta visibilità.
Tralascio virilmente tutte le solite affettuose considerazioni sul Festival, la gente, la città, il pessimo clima e vi do appuntamento, con tutte le mie sorelline, a Venezia per la Mostra del Cinema.
Mandi!