In quanti si ricordano il giorno in cui, durante la nona edizione del Far East Film Festival di Udine, la presentatrice annunciava con orgoglio che lo staff avrebbe stretto i denti e, contro tutto e tutti, soprattutto la giunta comunale che aveva tagliato il budget, in un moto d’orgoglio, avrebbe portato a termine la decima ed ultima edizione del loro festival prima di dire addio agli appassionati italiani di cinema asiatico? Secondo me in pochi e probabilmente è meglio così, dopotutto, oggi, siamo ancora qui, davanti a Teatro Nuovo Giovanni, sotto il primo vero sole di primavera. Son passati 15 anni da quel momento e la gita udinese segna più profondamente di qualsiasi calendario l’inizio della bella stagione e del ritrovare vecchi amici, anche quando piove. Sarà l’aria rilassata che si respira, l’entusiasmo della platea o le abbondanti porzioni di frico con l’immancabile vino friulano, chi può dirlo?
Intanto, di sicuro la pelle respira e lo stress si abbassa: più che un evento è una trattamento emolliente per lo spirito.
La cricchetta però è qui per i film. Si aprano le danze con la prima visione al festival.
Hidden Blade è un’impressionante prova muscolare della macchina cinematografica cinese. Un film cesellato tecnicamente fino all’inverosimile, una dimostrazione di forza capace di ammutolire chiunque possa anche solo lontanamente pensare che il cinema asiatico sia a corto di mezzi, genuflesso, per un improbabile preistorico timore reverenziale, rispetto a quello occidentale o, meglio, americano.
Con un cinema dal fiato corto come quello europeo non entra neanche in competizione.
Hidden Blade è un film con gli ingredienti giusti. All’inizio si fa un po’ di confusione per via del montaggio a ping pong. Poi diventa più scorrevole e alla fine si ricompone. Ottima, in generale, la recitazione, caricaturale solo a tratti.
Insomma, è perfetto o c’è un “ma”? E quando mai manca? Le limature ossessive e il lavoro finissimo sulla fotografia son talmente ingombranti che riducono l’immagine a un patinato feroce regalando agli occhi un tono fiabesco che poco c’azzecca con una storia di guerra e spie.
L’esibizione dei poderosi bicipiti tecnici affossa il film in due aspetti a cui nessun’opera d’ingegno dovrebbe mai rinunciare: forza artistica e personalità.
Il regista commette insomma un peccato veniale ma, tutto sommato, rispetta il tempo prezioso che gli si dedica.
Resta quindi una visione consigliata, soprattutto come ripassone storico del taglio cinese sugli intrighi politico-militari intrecciati con l’odiato Giappone durante la seconda guerra mondiale.
Immagino sia difficile chiedere di più dalla griglia-censura attraverso cui devono passare i film cinesi.
Entra anche questo nella sempre più vasta categoria dei film di regime.