Parigi, Primavera 1971. La primavera delle “esagitate”, delle “puttane coraggiose”, una primavera dove il patinato motto di Emma Watson: “HeforShe”, non si svolge nelle stanze del potere delle Nazioni Unite. Queste donne dal fare pertinace s’incontrano per contestare la remissività del ruolo femminile nella società Francese dei primi anni ’70. E sembra quasi impossibile da credere, ma chiunque abbia in mano la clessidra del tempo, non l’ha mai rovesciata, perché siamo esattamente allo stesso punto. Queste assemblee di contestatrici -che il braccio della regia vorrebbe si tenessero in maniera molto passionale- ci fanno quasi sentire, paradossalmente, molto a nostro agio. Per buona sorte, sono solo pochi quei sfortunati momenti politici durante la narrativa, che rimandano al peggiore Guido Chiesa, a quel suo orribile “Lavorare con Lentezza”. Le donne di “Summertime – La Belle Saison”, sono giovani, sono agguerrite e irriverenti. Gli incontri settimanali sono il pretesto che porta Delphine ad avvicinarsi al gruppo, non tanto perché ne condivida le idee, bensì perché tra queste simpatizzanti della pillola anticoncezionale, c’è Carole (quella creatura celestiale che è Cécile de France, e aspettiamo con ansia anche lei diventi “mainstream”, perché se ce l’ha inspiegabilmente fatta l’inespressiva e insulsa Léa Seydoux, non esiste un motivo logico per tenere Cécile de France seduta in panchina).
Questa è la proiezione che ha scelto il Festival Gender Bender per aprire le danze di questa rassegna che ogni anno diventa più ricca, più completa, più ambiziosa. E c’è da dire, che la scelta di questa proiezione è stata una scelta azzeccata e coi controcazzi. Per dirla alla Mae West: “too much of a good thing is wonderful”. E il cartellone di questo Gender Bender, che ha raggiunto la sua quattordicesima edizione, dimostra che seguire un percorso nel quale si è certi di credere, senza esitazioni e pregiudizi, porta a una riflessione aperta, a una riflessione che coinvolge il tessuto di tutta una città. E ci si sente particolarmente a casa nelle giornate del Gender Bender.
Summertime – La Belle Saison ha gli attributi di essere un film dal tono mite, pur affrontando non pochi argomenti pruriginosi: in primo luogo l’amore omosessuale (in un momento storico dove ancora alcune famiglie ritenevano fosse lecito rinchiudere gli omosessuali in manicomio, ed esercitare l’elettroshock per farli “guarire”), i diritti delle donne, l’aborto (in una delle scene memorabili del film, che sembra rubata da un evento reale: una tedesca di 21 anni, rappresentante delle FEMEN e studentessa di filosofia, sale sul tavolo di Mario Draghi nella sede della BCE a Francoforte), anche le nostre eroine sono disposte a farsi sentire durante l’intervento di un medico che considera l’interruzione della gravidanza pari all’omicidio.
Carole è piena di carisma, è magnetica, e Delphine dal suo canto, una ragazza che respira la città, è desiderosa di impregnarsi di Parigi, ha gli occhi vispi e il desiderio di “appartenere” (pur rimanendo fedele alle sue origini più provinciali). Delphine è immediatamente rapita dalla figura enigmatica che rappresenta Carole. E’ ammirevole che le registe abbiano confezionato su Delphine un soggetto così ricco e pieno di coraggio, ed è una scelta che va a beneficio del film: non disponiamo del tempo di comprendere la natura delle scelte che intraprende Carole, che delle due, è colei che scombussola di più la sua quotidianità e vivrà su di se le conseguenze più significative. Vediamo, quasi senza sofferenza, e con cognizione di causa, che davanti al desiderio, all’attrazione e alla proiezione emotiva e intellettuale che rovesciamo sulla pelle dell’altro, in preda al delirio del piacere, tendiamo a non fermarci. Pur consapevoli della mancanza di razionalità, alcuni gesti li portiamo avanti solo con le viscere.
È certo che Delphine e Carole si amano, è certo che scelgono di sfidare le convenzioni e gli schemi, soprattutto quelli di un contesto di campagna. Troviamo in questa leggerezza un modo di immedesimazione che ci riusciva più difficile nel film di Abdellatif Kechiche, “La Vita di Adéle” rappresentava un tour-de-force dal quale nessuno usciva illeso (né lo spettatore, né le attrici, e neppure la comunità LGBT. Probabilmente solo il regista ha incassato qualcosa da un film con un livello di disperazione e di maschilismo esacerbanti).
Mentre Carole è disposta a vivere il loro amore senza colpe, nonostante fosse stata Delphine a premere il grilletto, le carte cambiano il loro posto, e ora è appunto la seconda a essere confusa: quando la narrative si sposta nell’ambiente di campagna dove è cresciuta Delphine. Delphine si ritrova dover sovrapporre la famiglia, la propria reputazione in un ambiente omertoso, come lo è un mondo guidato da contadini, un mondo di uomini, e lascia da parte ciò che passa per il suo cuore.
Carole è convinta di poter guadagnarsi un posto nella simpatia della madre di Delphine, e davvero si spinge fin dove una donna innamorata può spingersi, cioè, fino all’inverosimile. Ogni gesto di una donna innamorata rappresenta la forma più pura d’amore, e comunque ciò non è sufficiente per fermare le crepa che iniziano ad attanagliare le fondamenta dei sentimenti di Delphine.
Non è un film a lieto fine. Ma una nota decisamente positiva su questa meravigliosa storia, è che SUMMERTIME – LA BELLE SAISON, non è mai una questione di morale. È una questione di appartenenza. Ed è qui che ogni ambivalenza e paragone con “La Vita di Adéle” risulta superflua, perché sono storie concepite da due punti di partenza completamente diversi.
La totale credibilità di SUMMERTIME – LA BELLE SAISON, arriva con la lettera di Delphine, che conclude la storia, una lettera che non avrebbe scritto Cher (visto che Cher avrebbe voluto portare indietro il tempo). Delphine sa bene che non è possibile (tornare indietro nel tempo), che è meglio evitare quelle forme gratuite di autolesionismo e la saggezza che ci lasciano le parole di Delphine, lette da Carole, sono quelle che dovremmo ripeterci ogni giorno: possiamo costruire una nuova realtà in qualsiasi posto dove sappiamo di poter essere genuinamente chi siamo, si può sempre iniziare daccapo, mantenendo un posto special per il nostro primo amore, e per Cher, naturalmente.