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#IFFR2020 #GAYLOVE – ANGYLOVE E I TULIPANILOVE, Parte 3

di il 01/02/2020
 

Siamo a fine Festival e, stamane, prima della proiezione delle nove, io e la cassiera del banco caffè ci siamo scambiati un’occhiata eloquente: siamo distrutti.

Iniziare così presto, poi, con un film di Bruno Dumont è doppiamente difficile. JEANNE D’ARC è un film originale e difficile, sicuramente non per tutti, ma quando mai un suo film lo è?
Racconta la vita di Giovanna d’Arco e della voce di Dio che le arriva attraverso canzoni cantate in falsetto, per arrivare alla morte della giovane martire, preceduta dal processo tenuto dai padri della Chiesa del tempo.
Non c’è scampo per nessuno: per la Chiesa, con il suo regime terreno, con la sua spiritualità fatta da uomini e il suo sterminato potere politico, ma nemmeno per Giovanna, dipinta come una testarda mitomane, che non cerca mai di mettere in discussione la parola di Dio, sempre ancorata nelle sue posizioni.
Eccellente ritratto storico rielaborato in un contesto di comprensione moderna. Cinema vero, senza sconti per nessuno.

Una delle figura che amo di più al Festival di Rotterdam è quella dei volontari: signori e signore in pensione che prendono super seriamente la loro missione, soprattutto quando devono scontrarsi con la modernità delle macchinette che leggono i QR code, formando code infinite o quando, a sala vuota, ti intimano di non lasciare posti liberi e sederti accanto al tuo vicino, anche se si è in due in tutta la fila.

Regista del film cinese Wisdom Tooth

WISDOM TOOTH di Liang Ming
In una Cina povera, dove la pesca è l’unica risorsa, una fuoriuscita di olio rende invendibile il pesce. In primo piano la storia di un fratello e una sorella, legatissimi e soli al mondo, tra cui si interpone una ragazza Qinchang, elegante e ricca, che fa subito amicizia con entrambi.
La sensazione di ingenuità e prevedibilità della prima metà del film si scosta lateralmente col crescere dell’ambiguità del personaggio di Guxi, la sorella, nella quale la gelosia per l’affetto del fratello con la nuova amica, fa scaturire un comportamento devastante.
Bella la direzione del debuttante regista, che non molla mai i suoi protagonisti con una regia molto serrata, facendo uso di frequenti e repentini movimenti di camera.
Molto apprezzato dal pubblico.

DYLDA di Kantemir Balagov
Storia di due donne a Leningrado subito dopo la fine della guerra, in un clima di povertà e devastazione tangibili. Nonostante siano delle vittime, hanno la forza della disperazione che permette loro di andare avanti.
Balagov fa sua la lezione di Souvorov e Balabanov: immagini splendide e storie durissime, che però conservano un’aura di romanticismo che non sparisce mai del tutto. Analisi perfetta di come una società venga completamente smembrata dalla guerra e non si sappia più riconoscere quando questa sia finita. La cupezza pervade tutto il film e il regista si disinteressa di evincere la visione, usa la lentezza per esplorare, col rischio anche di annoiare lo spettatore.
Fotografia da togliere il fiato.

FIRST LOVE di Takeshi Miike
La storia principale, quell’amore a cui fa riferimento il titolo del film, c’è davvero ed è tra Leo, il pugile e Monica, la tossica. Ma intorno a questa storia ce ne sono altre tre o quattro, legate a polizia, yakuza e mafia cinese. Molto strampalato, umorismo grottesco, aldilà del puro intrattenimento il film è davvero poca cosa: nessuna delle storie raccontate appare interessante, sono soprattutto occasioni per menar le mani, sparatorie e corse in macchina, con addirittura l’aiuto di una animazione per un salto di auto. Alla fine pare di aver visto niente di più di un B-movie giapponese.
Comunque sia, l’affetto per Takashi Miike resta intatto.

Prima di andare a dormire, sono stato in un bar gay a bere un vodka tonic, nella speranza di una vaga sorta di relax: in Italia l’avrebbero tirato in testa alla barista, tanto era annacquato. Non c’è speranza.

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