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#IFFR2021 #Festivalscope con plaid: l’International Film Festival di Rotterdam dal mio divano

di il 10/02/2021
 

Così anche a me è capitato di dover soccombere alle leggi severe della pandemia e seguire il mio primo festival cinematografico online.
Non ci saranno veloci cambi di sala per riuscire a vedere più film possibili, decido così di dividere la casa in funzione del Festival: il tavolo di cucina diventa la sala stampa col PC portatile e gli appunti sui film, il salotto è la sala visione ma anche la palestra dove fare esercizi di stretching tra le pellicole.
Scopro fin dal primo film che ogni visione avrà la sovrimpressione del mio nome, uno stratagemma antipirateria che inizio a odiare, sembra una vaga forma di megalomania.

RIDERS OF JUSTICE di Anders Thomas Jensen è il film di apertura quest’anno. Un revenge movie danese che si rifà abbastanza al cinema americano, anche se conservano un ritmo più europeo, che talvolta toglie mordente al film (anche un certo senso di umorismo che ogni tanto emerge, non sempre collocato in maniera funzionale al film).
Una catena di coincidenze alla base della storia del film che crea uno scontro feroce con una banda criminale organizzata da parte di un gruppo mal assortito di smanettoni di internet, nerd sociopatici e marchette. Un film elegante per essere un mainstream, soprattutto grazie alla presenza di Mads Mikkelsen, ma che non va aldilà del semplice intrattenimento. Potrebbe avere un buon successo al cinema, qualora prima o poi li riaprissero, ma più che altro pare avere un futuro su Netflix.

ARISTOCRATS di Sode Yukiko èIl film è una fotografia quasi asettica e parecchio convenzionale della composizione della società giapponese contemporanea. “Tokyo è divisa a compartimenti” dice una delle protagoniste “ognuno deve rimanere dentro il proprio”
Rapporto, tramite un uomo in comune, tra due giovani donne provenienti da due diversissime realtà sociali, personaggi un po’ troppo tagliati con l’accetta, nessuna sfumatura che le contraddistingua.
Ma la parte più banale in assoluto è che l’unica felice tra le protagoniste risulta quella che decide di non sposarsi e vivere della propria arte.
Peccato perché le immagini sono proprio belle e gli attori molto credibili. Ma la storia manca completamente di qualsiasi originalità.

GRITT di Itonje Soimer Guttormsen di originalità ne ha fin troppa, ma gestita in maniera pessima. Taglio documentaristico per raccontare la storia di Gritt, attrice performativa, povera in canna che vive di espedienti, sognando continuamente di entrare in qualche compagnia teatrale che le permetta di realizzare i propri sogni (parecchio campati in aria).
Molto mondo indie, molto interesse per gli immigrati, molte citazioni colte, ma questo cercare da parte della regista del film l’opera d’arte attraverso il racconto di esperimenti artistici rende il tutto noioso, confuso e autoreferenziale.
Alla fine Gritt, in una discesa vorticosa verso la pazzia, diventa una insopportabile rompicoglioni senza più il senso della realtà.
Film folle, ma non in maniera divertente.
Ne approfitto delle pause tra i film per fare i cinque tibetani per riuscire a restare un po’ in forma, anche perché nonostante sia soltanto il primo giorno, sento già il corpo prendere a forma del divano.

Sontuoso all’inverosimile THE EDGE OF DAYBREAK di Taiki Saipisit , uno di quei film in cui i ricorsi storici permettono ad uno spettatore occidentale non ferrato in materia di capire circa il 50 per cento del film.
Avvolto in un’aura di fascino grazie ad un bianco e nero che si rifà parecchio a Lav Diaz (e anche la struttura del film ad essere onesti), il racconto di una famiglia durante la protesta studentesca del 1970, ma tutto sviluppato in un punto tra il sogno e l’immaginazione in cui passato presente e futuro convivono, in cui i morti appaiono e scompaiono e le donne colloquiano con le bambine morte che sono state.
Nonostante la quasi totale incomprensibilità della trama, non sono riuscito a staccare gli occhi neppure per un momento dalle immagini, cercando di capirci qualcosa all’inizio, poi semplicemente lasciandomi trasportare da un senso come di dormiveglia che il film mi trasmetteva.
Veramente impegnativo e veramente bellissimo.
Non credo uscirà nel cinema più essai di Bangkok.
Purtroppo ci sono le giornate in cui la connessione fa le bizze (oppure il server di chi gestisce la visioni, chissà) e vedere i film diventa davvero un’impresa, tra imprecazioni, stop del download per far caricare il film e nostalgia di sale enormi in l’unica cosa da fare è sedersi.

LONE Wolf di Jonathan Ogilvie
Un eccellente montaggio garantisce per l’intera durata del film una tensione che non perde mai mordente.
Il famoso libro di Joseph Conrad viene adattato al mondo contemporaneo e la storia è raccontata attraverso la composizione di immagini prese da telecamere di sicurezza, Skype, video di cellulari, storie su social, persino rilevatori antifumo.
Tutto e tutti sono ripresi costantemente, la storia della vita di ogni individuo può essere raccontata componendo un puzzle di frammenti derivanti da centinaia di apparecchiature elettroniche.
Bella l’analisi dei gruppi carbonari che nascono contro i colossi economici, gruppo di cui i protagonisti fanno parte (distinguendosi ognuno di loro per un diverso grado di anarchia), che poi sviluppano all’interno dinamiche non molto diverse di quelle che avvengono delle tante odiate società.
Piuttosto scontata invece la scelta di rappresentare la corruzione della politica e della polizia: sarebbe stato molto più coraggioso dimostrare la loro correttezza e sensibilità verso la popolazione.
Intrattenimento con stile.

Vincitore del premio della critica è I COMETE di Pascal Tagnati questo film potrebbe apparire a prima vista romerhiano, ma si sviluppa in maniera del tutto diversa di come avrebbe fatto il maestro
Nella cornice di una splendida Corsica (ma non certo la vacanziera, ma quella frequentata dagli abituali) , viene rappresentata gli abitanti che la popolano durante l’estate, da bimbi a persone anziane, con istantanee di discussioni, dialoghi, litigi, ma anche masturbazioni davanti alla cam e un intenso dibattito su come sia meglio ricevere un pompino.
Il regista non perde mai le fila di questo puzzle di brevi sipari e riesce a creare un’interezza che sorprende per la sua coerenza.
Tagnati compare anche tra gli attori, tutti molto credibili e capaci nell’entrare ed uscire dall’inquadratura della camera con naturalezza.

Mio preferito in assoluto è stato SEVERNY VETER di Renata Litvinova. Tratto da una piece teatrale e splendidamente reso nella realizzazione cinematografica collocando l’intero film in una casa, meraviglia dell’assurdo che pare un quadro di Hyeronimus Bosch, Severnyy Veter è un capolavoro dell’assurdo, che ha sicuramente molti padri, tra i quali Fellini e Fassbinder, ma che Brilla per originalità e coraggio.
Evoluzione storica di una famiglia assai strana con delle istantanee nel primo giorno dell’anno, festeggiato con costumi favolosi e segnato da morti, tragedie e soprattutto tanta follia.
Sono le donne a comandare in questa parte del mondo dove c’è la possibilità di avere una 25 ora, una famiglia di donne che pare non cambiare mai, sempre in attesa di un uomo che non arriva.
Ancora una volta un film russo ha trafitto il mio cuore, una favola cattiva, follia lucida, la regista in grado di essere anche una attrice perfettamente convincente.

Piacevole sorpresa per PEBBLES di Vinothraj P.S. Vincitore del Tiger Award. Film molto “camminato”, nel senso che i protagonisti sono sempre in movimento, con la camera che li segue senza tregua.
Piccola storia di una lite in famiglia, nella quale il padre è violento ed ubriaco, scarica sul figlio piccolo tutta la rabbia e il disagio, raggiungendo a piedi il proprio villaggio, camminando in una zona desertica dove sono presenti sono ciottoli, che il bimbo colleziona dopo averli tenuti un bel po’ in bocca..
Nonostante la la fotografia eccezionale e la cura quasi maniacale per le inquadrature, il regista riesce a trasmettere la miseria di una situazione di povertà estrema, senza però fare di questa la protagonista del film, come spesso ormai accade.
P.S. Avendone bisogno, viene insegnato anche come cucinare un topo.

Sicuramente le organizzazioni cinematografiche sono state prontissime a creare Festival in streaming per ovviare a tutte le limitazioni imposte dagli Stati per arginare i contagi, ma spero sia davvero l’ultima volta che mi accada di partecipare ad una rassegna online.
Oltre a mancare la sala, la presenza delle altre persone, dei loro giudizi e consigli su film visti e da vedere, la possibilità di vedere tutti i film senza l’obbligo di un orario, favorisce l’arresto di un film troppo pesante o inconsistente, cosa che raramente accade quando si è seduti al cinema.

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