I peli pubici sono illuminati dal pallore dell’alba, la finestra non ha tende. Il corpo è candido, la carnagione troppo chiara si arriccia in grinze di pelle flaccida. C’è l’immagine di una donna in piedi, canta immobile una ballata in tono minore all’interno della cucina anni sessanta, di quelle con mattonelle marroni sul muro e forno a gas. I tubi degli impianti corrono disordinati e la muffa ingrigisce gli angoli delle pareti come barba mal rasata. La tovaglia di plastica a fiori copre un tavolo e accoglie, disteso supino, il corpo nudo di una sessantenne che sta per essere fatta a pezzi.
Allleluia, 2014
La festa è iniziata da un po’, i parenti sorridono annoiatamente col calice in mano. Serpeggia un inquietante brusio di fondo. Hanno montato il palco in un giardino bruciato dal sole. La figlia bionda, accesa di rosso, è la regina della festa. Sale lentamente le scale e inizia a scalciare, ballare e picchiare indiavolata a terra coi pugni al ritmo delle chitarre elettriche. I parenti fissano la scena distanti, in ogni senso, vagamente incuriositi, poco coinvolti. Poi si ferma, ha lo sguardo vitreo, spalanca la bocca in una pausa che sembra eterna e urla a pochi centimetri dalla cinepresa in uno dei momenti più epici della storia del cinema.
Inexorable, 2021
Ovviamente c’è Calvaire, il suo primogenito girato nel 2004, dove è la morte a dominare i sensi. Non serve parlarne perché è sporco, cupo, torbido e disturbante al punto da aver lanciato una stella nell’Olimpo dei registi cinematografici di cui tutti all’epoca si erano accorti.
Ogni tanto però arrivano Amazon e Netflix, la domenica pomeriggio, a premere il regista dentro la centrifuga con qualche mazzo di banconote. Frullano la sua creatività e le immagini fosche, urgenti, sgranate, facendolo uscire svuotato, omogeneizzato, banalizzato. In televisione Fabrice Du Welz rigurgita un poliziesco snervato e un revenge-movie anonimo. Film leggeri, senza guizzi, privi di un qualunque motivo possa spingere i cinefili ad investirci due ore:
“Col tuo talento per uccidere regni all’inferno, non servi in paradiso”
“Ti faccio vedere la mia se mi fai vedere la tua (pistola)”
“Io non vado a farmi fottere, sono io semmai che fotto te. Lo senti il mio cazzo?”
Il cinema d’Autore non è un passatempo, non si scrive un film per piacere, lo si fa perché è vitale. Se devi intrattenere corpi mummificati sul divano, capaci solo di lavorare o rispondere al dolore del lavoro cercando a ritmo isterico svaghi fugaci in ogni asfittico buco di tempo a loro concesso, beh, mettiti in coda: c’è già la TV a stringerli nella sua morsa d’acciaio e a farli sanguinare sul filo spinato. Come dici? Il conto in banca? Guarda, Fabrice, ti capisco, dopo Colt 45 e Message from the King pensavo mi si spezzasse il cuore, oramai rigido come quello di un cane, invece ti perdono. Ricordati solo di ascoltare i tuoi amici quando ti suggeriscono di mollare il filone poliziesco:
“Hai mai visto questo posto mentre piove? Sembra cartone rancido”
Ad oggi, l’astro di Du Welz, dopo vent’anni, è ancora indecifrabile. Non si riesce a capire se sia una meteora, uno qualunque saltuariamente toccato dalla mano di dio o un nuovo Big Bang. Presenta, fuori concorso, alla La 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Maldoror. Un’opera troppo edulcorata e annacquata per un artista con le sue qualità. E’ un film che vive della logorante alternanza tra i colpi di genio con cui ci ha deliziato nelle sue opere migliori e banalità da fiction televisiva. Unisce il poliziesco al racconto horror, come a voler far valere il vecchio detto “un colpo al cerchio e uno alla botte” ma, invece di “salvare capra e cavoli”, sembra il fidanzato che un giorno ti regala i fiori e l’altro gode nell’umiliarti per i motivi più futili e non sai mai prevedere quando cambierà umore. E’ una convivenza snervante per chi, come me, ne è innamorato, specie dopo vent’anni.
L’attore protagonista sembra un dodicenne coi baffi appiccicati che dovrebbe però apparire un duro e puro, al limite del delinquente psicopatico, della Gendarmerie belga. Perché l’ha ingaggiato? Perchè inserire ancora l’elemento poliziesco se non è nelle sue corde? Perchè continuare a sbattere la testa per rincorrere un obiettivo più basso rispetto a quelli che già ha dimostrato di saper raggiungere? Perchè forzarsi di essere quello che non si è? E’ una sfida? Un fioretto? Un’ossessione? Ha visto troppe puntate di Kojak da piccolo? Durante l’intervista in sala stampa ha tenuto a sottolineare che ha volutamente frenato la sua indole industrial, sia a livello visivo che sonoro, per mettersi al servizio della trama, col risultato, ahinoi, di averla resa insipida. Evidentemente la regola universale non è ancora arrivata in Belgio: se all’inizio del film si dice che è tratto da una storia vera allora bisogna iniziare a preoccuparsi.
Tagliando tutta la parte in stile telenovela, diciamo con un montaggio finale di quarantacinque più corto, il film sarebbe riuscito. Insomma è una piccola delusione, ma le aspettative erano alte e il regista resta nel mio taccuino rosa: ancora non va cancellato dalla lista dei graditi.
I consigli della Cricchetta sulla filmografia completa, per i pigri:
2004 | Calvaire | Si |
2008 | Vinyan | No |
2014 | Alleluia | Assolutamente si |
2014 | Colt 45 | Assolutamente no |
2016 | Message from the King | Assolutamente no |
2019 | Adoration | No |
2021 | Inexorable | Si |
2024 | Maldoror | Ni |
Maldoror (2024) | |
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Rating: N/A/10 (N/A votes) Director: Fabrice du Welz Writer: Domenico La Porta, Fabrice du Welz Stars: Anthony Bajon, Alba Gaïa Bellugi, Alexis Manenti Runtime: 155 min Rated: N/A Genre: Drama, Thriller Released: N/A |
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Plot: Two girls vanish. Police recruit Paul Chartier joins a covert unit tracking a sex offender. After the operation falters, Chartier pursues the perpetrators independently, disillusioned with legal constraints. |