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#TSFF36 – Visioni apprezzate al Trieste Film Festival

di il 08/02/2025
 

Il festival si sposta al Politeama Rossetti, splendido teatro adibito a cinema, con le poltrone un po’ scassate, che fa ancora di più Festival.

 

STERBEN di Matthias Glasner (voto 4/5)

Riuscito rifatto familiare, di stampo bergmaniano (il regista svedese viene citato più volte durante il film), anche se con un taglio che a volte sfiora la commedia grottesca. Riuscito in quanto, nonostante sia autobiografico, pare parlare di ognuno di noi, delle miserie che compongono la nostra vita quotidiana.

Padre madre figlio figlia incastrati in un rapporto di amore/odio antico, padre col Parkinson che sta per morire, madre che non sopporta più il marito e che a sua volta si ammala, figlia alcolizzata autodistruttiva ai massimi livelli, figlio che si dice padre di una figlia non sua in una relazione allargata con la ex. Tra di loro una rete di conflitti mai risolti. La prima parte è dominata dai genitori malati e dai figli che dovrebbero prendersi cura di loro, ma che in realtà, impegnati nelle loro vite, non ci riescono. L’analisi spietata del regista illustra come l’essere umano smetta di essere tale e diventi alla fine un ammasso informe di obblighi e problemi per le persone che gli stanno attorno, un involucro che rappresenta solo il ricordo di ciò che è stato. Il concetto di morte, rappresentato parecchie volte nella pellicola, assume tratti sempre diversi: tristezza, sollievo, inevitabilità.

Un plot del genere, che in altre cinematografie genererebbe una tragedia decisamente già vista, viene trattato da Glasner in maniera talmente cinica da donargli una sorta di leggerezza, capace di far volare le tre ore di proiezione.

  • La morte, rappresentata parecchie volte nella pellicola, assume tratti sempre diversi: tristezza, sollievo, inevitabilità.
  • L’amore, forse desiderato ma mai raggiunto, come quando la madre dice al figlio di non averlo mai amato ricevendo come risposta unicamente un senso di sollievo.

Tutto è girato con una freddezza autentica, al limite del tabù. Alla fine muoiono tutti, anche quelli che restano vivi.

Bailing Szimler Regista di Lesson Learned

 

KYUKA. BEFORE SUMMER’S END di Kostis Charamountanis (4/5)

Finalmente arriva il film da stronzetti cinefili, ovviamente è greco. Una trama poco chiara, personaggi che fanno cose parecchio poco chiare. La recensione potrebbe finire qui, ma ci tengo a fare qualche esempio:

  • padre, cerca di avere un rapporto amichevole coi figli, ma che si comporta in maniera impacciata e smarrita nei confronti di qualsiasi situazione gli si ponga davanti, finendo sempre per fare lo sbruffone o, alla meglio, l’inetto;
  • figlia, cazzuta e fragile, determinata e poco avvezza al sentimentalismo, che col padre ha un rapporto di pochissima soggezione;
  • figlio, soffre il machismo del padre, legatissimo alla sorella, prova diversi colori di smalto per le unghie e improvvisa spesso passi di danza classica;
  • madre, se n’è andata, lasciando la famiglia. Riappare con look strepitosi (lei di un’eleganza incredibile), fumando sigarette col bocchino, con nuovo marito e figlie annesse. Guarda con tristezza i propri figli, a cui non si può rivelare.

Tutto ciò condito da riprese a tratti nervose, a volte elegiache. Stupenda la scena in barca in cui i due maschi alfa si affrontano su quale sia il modo migliore per pescare.

Si è capito poco di quello che ho scritto, come di quello che passa sullo schermo ma, credetemi, il film va proprio cosi. Miglior sorpresa della rassegna, menzione speciale.

 

FEKETE PONT di Baling Szimler (voto 4/5)

Regista in sala (parecchio bòno) per presentare un film alla fine molto apprezzato dal pubblico.

Non amo molto le storie in cui i bambini sono protagonisti, ma il taglio stilistico dato a questa pellicola è davvero interessante (dopo i titoli di testa con un pezzo degli Idles, al regista gli volevo già bene). Usando una fotografia un po’ sporca, perfetta per rappresentare il mondo della scuola elementare, vengono illustrati i momenti di quotidianità di studenti e alunni, focalizzando su Palko, ragazzetto che arriva da Berlino, non brillantissimo, uno che si annoia con gran facilità e Juci, maestra giovane (bellissima) che adotta un sistema piuttosto all’avanguardia per intrattenere i propri studenti. Il corpo insegnante, mostrato soprattutto nella sala professori, è quasi scusato dal regista di non essere sempre all’altezza: problemi, ritardi, assenze, carenze strutturali rendono il sistema scolastico un disastro, in cui sono loro stessi le vittime.

Ottima anche la scelta di iniziare con tono scherzoso e leggero il film, facendolo, via via che passa il tempo, sempre più serio ed intenso, quasi tragico. Talvolta commovente. Credo che il grande pregio di questa storia sia di aver fatto sentire il pubblico parte di essa, con i ricordi (per quanto mi riguarda pessimi) e le esperienze passate a scuola.

Alla fine viene specificato che lo stato (leggi Orban) non ha dato il proprio sostegno a questo progetto, senza ovviamente alcuna sorpresa tra il pubblico.

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