I dialoghi estremamente naturali
Gli attori perfetti
Il soggetto 'corale' già molto sfruttato
A Teheran si soffre come a New York. Forse anche meno...
I miei amichetti della Cricchetta se ne sono andati a metà, durante la proiezione di questo film, catalogandolo, forse a ragione, come puro ghezzismo. Perché io sono rimasto?
Non che ami particolarmente le maratone di Rai Tre su Kiarostami, Panahi o Makhmalbaf, anzi. Fui tra i primi a rigettarle quando ancora il popolo cinefilo e schierato li osannava dormendo.
Questo Ghesseha, nonostante la regista Rakhshan Bani Etemad sia della loro stessa generazione, non appartiene a quel filone. Non c’è la patinatura o il minimalismo neorealista-zen che spesso ammorbavano le opere succitate. E’ un film sporco, difettoso ma, ai miei occhi arrossati e secchi, ha più di un pregio.
Il primo, non così scontato come può sembrare, è che sta in piedi. Le microstorie di cui è composto, cioè, formano un quadro complessivo nel quale il testimone passato da una all’altra, più che essere il personaggio trait d’union, è il reciproco illuminarsi, arricchirsi, pur non avendo niente in comune se non il substrato storico-culturale.
Il secondo non dovrebbe entrare in una valutazione oggettiva, ma il fatto che un grande paese come l’Iran, passato attraverso una rivoluzione interna, una guerra fratricida con l’Iraq finanziata dalle superpotenze dell’epoca, le minacce sioniste – americane, le ispezioni ininfluenti dell’ONU e l’embargo, possa mostrare al mondo quanto la propria gente sia simile, nei problemi, nelle aspettative, nelle aspirazioni, al resto dell’umanità, mi fa bene, mi da speranza. Non nella bontà del genere umano, sulla quale non ho alcuna illusione o aspettativa, ma sulla capacità dell’uomo di vivere, amare, soffrire e conoscere sempre e comunque, indipendentemente dal contesto in cui è nato.
Altro pregio, e forse quello che ha portato la giuria di Venezia a premiare la sceneggiatura, sono i dialoghi che, contrariamente a quanto potrebbe apparire a chi non conosce certe naïveté del carattere levantino, sono particolarmente attenti a donare ai diversi caratteri la loro specificità culturale, di genere e anagrafica. In particolare ho trovato molto riuscito e quasi tenero quello tra il padre di famiglia geloso e la moglie che riceve una lettera dal suo primo marito, così come, nella sua verbosità che cela e rivela i sentimenti sottostanti, quello finale tra il giovane tassista perbene e la spregiudicata assistente sociale.
Non stupisce il successo della regista in patria. La partecipazione sincera, che si avverte dietro l’apparente distacco documentaristico, si trasmette allo spettatore e, come fanno tutte le opere dotate di cuore, lo trascina nel mondo del possibile che non è mai esistito ma che, proprio per questo, riesce a dare voce a realtà diversamente inesprimibili.
Tales (2014) | |
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Rating: 7.0/10 (1,495 votes) Director: Rakhshan Banietemad Writer: Rakhshan Banietemad, Farid Mostafavi Stars: Habib Rezaei, Mohammad Reza Forutan, Mehraveh Sharifinia Runtime: 88 min Rated: N/A Genre: Drama Released: 06 May 2015 |
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Plot: A series of seven vignettes about different people dealing with their every day problems in modern day Iran, that are loosely related to each other. |
io me ne sono andato perchè di cittadini che si lamentano della burocrazia onnipresente, dei politici ocrrotti, e di operai che rischiano di perdere il lavoro perchè la crisi fa chiudere le aziende ne vedo già abbastanza nei beceri talk show nostrani che affollano le pirme serate televisive, e francamente di sorbirmene un fac simile alla Mostra Internazinale d’Arte Cinematografica, fosse proveniente dall’Iran o da qualsiasi altra parte, non mi sembrava il caso…
…e ti sei perso la procace assistente sociale che dava il due di picche al tassista.
Ah ma anche di quello c’è pieno nella vita e nel GF.
Hai fatto bene 😀