“E’ una vita che combatto per la verità e non ne è mai venuto fuori niente di buono“
“La bellezza, come la gentilezza, hanno sempre fatto uscire il peggio dalle persone che ho avuto vicino“
Emir Stustica non è certo un regista di primo pelo ma, nonostante la sua lunga carriera, non ha mai ceduto alla tentazione del banale: è sempre rimasto fedele alla linea (cit.). Usa il Cinema come forma di espressione artistica originale e in grado di sorprendere senza tregua. Firma così questo progetto lasciando la sua impronta unica/inconfondibile in ogni fotogramma. On the Milky Road è un film che solo lui potrebbe girare e chiunque abbia visto uno dei suoi precedenti lavori ne riconoscerebbe la mano all’istante. Emir fa quello che fa, fa quello che ha sempre fatto, ed è il migliore in quello che fa, non sorprende quindi che la principale critica mossa frettolosamente dai Vecchi-Fan-Bianchi-e-Stanchi® sia quella di essersi ripetuto. Ma, belli miei, non occorre che arrivi io – il dio della critica Porno Scatologica® – a dire ancora una volta che una delle principali caratteristiche dei grandi artisti è quella di ripetere sempre e solo un’opera e poi ancora per sempre all’infinito, giusto? Perché è stranoto che sono tutti dei matti psicotici e che l’arte è uno dei tanti strumenti osservabili usati per placare le ossessioni. Questi son concetti base che ormai devono essere dati per scontato. Se, ad esempio, durante un innamoramento (esso stesso ossessione) non si ha una spinta vorticosa irrefrenabile verso la creazione di un qualche sfogo artistico allora non è innamoramento. Ne sia da esempio il classico “Opera in tre atti” di M. Arienti, marzo 2014.
La proiezione del film – in concorso alla Mostra del cinema di Venezia nel 2016 – è stata snobbata sia dal pubblico bue – che aveva lasciato il Palabiennale praticamente vuoto – che dalla stampa venduta: le anticipazione di corridoio non lo consideravano tra i papabili per un premio importante. Solo poi si venne a sapere che le voci erano quelle dei corridoi non proprio competentissimi del Club 117 di Rio de Janeiro: …a ognuno il suo! disse il saggio in posizione prona, mentre per 150 Real un’ombra blu dai denti bianchissimi gli assaggiava delicatamente le pareti esterne dell’ano.
Se invece si ha la grazia di guardarlo, non passerà più di un minuto prima di capire che ci sarà di cui divertirsi: il regista afferra bruscamente lo spettatore per un braccio e lo spinge di soppiatto dentro una vasca di sangue e oche. Subito dopo regala ai fortunati davanti allo schermo un miracolo: per venti minuti di seguito la qualità dell’immagine, delle idee, l’originalità scoppiettante e il ritmo serrato sono sbalorditivi e niente può far pensare ad altro se non ad un capolavoro che ogni appassionato si porterà dentro per tutta la vita. Con le chicche spese nella parentesi di questo miracolo, ad Hollywood sfornerebbero un centinaio di film diversi, allungando il brodo e vendendolo al doppio del prezzo.
Il film poi procede come una molla: si carica per qualche minuto e poi scatta con una nuova scena geniale e sbalorditiva. Un sadico coito interrotto che finisce sistematicamente con l’ennesimo orgasmo inaspettato. Ci riesce anche quando si pensa che ormai, dopo tante cartucce sparate, non potrà più sorprendere un’altra volta. Grande Cinema insomma.
E’ un film girato da un maniaco dei dettagli che ha cosi tante idee e cosi tanta fantasia che di più non si può, si pensi solo al tormentone dell’enorme orologio a pendolo sempre inceppato, o alla dolcezza con cui la Bella canta raffazzonando alla bell’e meglio un orecchio appena strappato via di netto, o a quel sogno erotico a forma di donna acrobata col Revolver.
A quasi un anno dalla visione, lo ricordo come una giostra geniale che mescola intrattenimento, immaginazione e capacità di solleticare mondi nuovi e promettenti.
Il regista mette il pubblico nel cestello della sua lavatrice dei sogni e non lo molla finché non si arrende esausto di piacere. Un immenso videogioco poetico dove tutto può succedere e tutto è sopra le righe.
Come dice il mio amico, nel 2016 sembrava ormai impossibile mostrare al cinema una storia d’amore che non fosse banale, imbarazzante ed offensiva per l’intelligenza, ed invece ecco l’impossibile diventare realtà. Erano tantissimi anni che ti aspettavo.
Consigliato!