C’è una battuta meravigliosa recitata dal cattivissimo Michael Shannon in The Shape Of Water che recita più o meno così: “I Corn Flakes sono stati inventati per fermare la masturbazione. Ma non è che abbiano funzionato moltissimo.” Mi sono messo a cercare sul web, giusto per controllare le parole esatte della citazione e mi sono imbattuto in una scoperta straordinaria: John Harvey Kellogg, un avventista della Chiesa del Settimo Giorno, inventò VERAMENTE i Corn Flakes per frenare l’impulso onanistico che era convinto derivasse da una dieta ricca di carne e proteine. Ah, homo sapiens! Se non ci fossi bisognerebbe inventarti…
La passione per le corse dei cavalli nei libri di Bukowski mi porta in prima fila per La Rivincita Dell’Uomo Che Sussurrava Ai Cavalli LEAN ON PETE di Andrew Haigh. Un road movie di formazione, non troppo originale, che sembra soffrire della sindrome da turista innamorato perché l’inglesissimo Haigh indugia un po’ troppo sulla trita mistica del sconfinato Midwest che ormai fa parte dell’inconscio cinematografico collettivo. Un amico critico di fama galattica che ha letto il libro di Willy Vautlin mi segnala oltretutto che la violenza ed il degrado nel film sono molto edulcorati rispetto alla versione cartacea. Anche la scelta di mettere nel cast la coppia regina della bonomia indie americana, Buscemi e Sevigny, è un chiaro segno della direzione intrapresa. Pur con i suoi limiti, a me comunque il film è piaciuto e il giovane Charlie Plummer è sicuramente destinato a grandi cose. Voto 3,5.
Proviamo allora a scendere fino in Argentina per vedere se vanno un po’ meglio le cose ad una bruttarella di nome Ely ma ci troviamo sprofondati senza batter ciglio nella terza storia di teenager con famiglia disfunzionale negli ultimi quattro film visti. Lavoro di merda, messa in cinta dal capo, madre depressa che non si alza dal letto sono solo alcuni degli ingredienti che rendono INVISIBLE una fiera del miserabilismo tale da trasformare un qualsiasi film dei Dardenne in una scampagnata ad Alassio. Darei 1,5 ma non voglio sparare sulla croce rossa per cui alzo il voto fino a 2.
Dopo aver quasi convinto una coppia di critici calvi di Casal Palocco dell’intrinseca inferiorità dello spritz all’Aperol rispetto alla variante carciofesca o quella classica con il Bitter, mi accomodo speranzoso in Sala Volpi per l’ultimo film della mia giornata, il cinese MI HUA ZHI WEI (The Taste Of Rice Flower). Innanzitutto devo tributare una menzione d’onore al mio vicino in prima fila, che ha cominciato a russare – flebilmente, con classe – già durante i titoli di testa per poi risvegliarsi solamente agli applausi al termine della proiezione. L’amico ghiro farà fatica a ritrovarlo in qualche sala perché Mi Hua Zhi Wei è il prototipo perfetto del film cinese da mostra cinematografica, visto il suo appeal non proprio scoppiettante per un pubblico occidentale. È visualmente magnifico, elegantissimo e tratta con grazia e humour temi per nulla leggeri come abbandono minorile, spaesamento e superstizione. Non è neanche lontanamente my cup of tea ma non posso dare meno di 4 perché è obiettivamente una piccola cosa deliziosa come i vestiti tradizionali delle donne del villaggio che ritrae.
Mentre mi dirigo con fare sonnacchioso verso il vaporetto un tizio vestito da santone mi sbarra improvvisamente la strada e mi afferra per un braccio. Più che un santone, sembra una comparsa di qualche film storico a bassissimo budget girato nell’Agro Pontino. Mi guarda fisso negli occhi e bofonchia qualcosa tipo: “V_i a@..l§a^av!a” e corre subito via, sorprendentemente veloce sui suoi sandali da primo prezzo Decathlon.
Che grande Mario Bava? Lei è proprio brava? Spesso si attardava? Che cazzo mi avrà detto? Se avessi una sigaretta me la accenderei, mentre le prime gocce di pioggia cominciano a cadere…