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Ehi tu, donna, vuoi sapere qual è il miglior rimedio all’ingrassamento estivo causato dall’abuso tossico di ozio, nduja, tartufo del bar Dante, birra Dreher a un euro, latte di mandorla, hummus, tahina, falafel e pane arabo? No? Credi forse che fra qualche tempo te ne dimenticherai rivedendo le foto delle vacanze in cui ti sei immortalata sempre e solo di faccia dopo aver scelto accuratamente l’angolazione, esserti truccata e aver speso 50 euro per colore/piega? Non ci sperare e non azzardarti nemmeno a pensare di ripartire a settembre con quei due panettoni farciti che cadono pesanti fuori dal costume, con tanto di crema che sbrodola a grumi ondosi sottopelle nel retrocoscia: c’è gente debole di stomaco che deve fare i conti col reflusso gastroesofageo.
Che fare allora? Ho per te la risposta: vieni alla mega-maratona di film al Lido di Venezia in occasione della 74ma Mostra Internazionale d’arte cinematografica, dove dormire e mangiare sono lussi che non ci si può permettere, dove la passione per la settima arte coincide finalmente con la voglia di fitness.
Tu, che arranchi a suon di selfie contro una natura cicciottella, vorresti coronare il sogno della vita? Vorresti finalmente postare sui profili social una foto a figura intera di spalle in spiaggia senza veder automaticamente riaprire di vergogna le vecchie ferite di sempre che copri a fatica facendo finta di niente? Allora vieni a #Venezia74: per un fisico da Barbie®!
– Fine messaggio promozionale*** –
Ecco il carrello delle portate brucia-grassi:
Samui Song del Tailandese Pen- ek Ratanaruang è un film rattoppato in cui vengono cuciti malamente tre corti di genere diverso che si susseguono cronologicamente. Il primo un dramma di violenza domestica, il secondo un thriller del tipo delitto perfetto e il terzo una specie di commedia senile per gente ben educata. Il finale è addirittura splatter.
La trama sembrava promettente: un impotente che passa le giornate a creare falli di creta costringe la moglie a ripetute violenze sessuali perpetuate dal santone locale pur che rimanga incinta, a quel punto scatta la vendetta della donna e le sfighe del killer improvvisato. C’è la scena del marito che prova senza successo a raggiungere l’erezione davanti ad un filmetto, c’è una lesbicata gratuita decontestualizzata, ci sono gli ammazzi, c’è il sangue, insomma c’erano tutti i presupposti per il capolavoro! Come si fa a sprecare un’opportunità del genere?!
Vince il premio Scatologico® della proiezione il geGnio in quarta fila che continuava a lamentarsi del chiacchiericcio durante i titoli di testa: è stato umiliato da un’anziana affetta da alopecia con un secco e ben accolto da tutti: “lei è pazzo”. Love
Preso dallo sconforto entro in sala a capo chino per il bel First Reformed di Paul Schrader, non un capolavoro ma almeno è un vero film, non una macchietta posticcia come il precedente. E’ scritto bene, ha qualcosa da dire, alcuni dialoghi sono addirittura illuminanti, ne sia d’esempio il concetto di esperienza vs emozione, che ricalca quello più noto di divertimento vs felicità: gli infelici cercano il divertimento per riempire il vuoto lasciato dalla felicità mentre la felicità è il mondo che d’improvviso sembra perfetto così com’è, senza ombre che distraggono. La gente non è felice quando sotto la vita visibile scorrono trame segrete, rimpianti e desideri inespressi. Esplorare questo tema usando la scusa dell’ambientalismo ha funzionato piuttosto bene.
Bello il fatto che il protagonista sia un prete, che gli ambienti siano chiese ma che al tempo stesso il film si guardi bene dal parlare di religione. Certo, gli argomenti trattati tradiscono brutalmente l’età del regista, è un film che un minorenne (cioè sotto i 30) faticherebbe ad apprezzare per le sue specifiche qualità (apprezzerà semmai i grandi occhioni da cerbiatta della vedova allegra).
Il regista costruisce eccezionalmente bene il finale: inizialmente sembra scontato ma pian piano cresce e si piega in maniera intelligente, coerente ed in parte disturbante. Discreta sonnolenza solo nella prima mezz’ora
Chiudo la giornata con Under the Tree (Undir Trénu) di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson. A suon di accoppiarsi tra loro gli islandesi stanno facendo marcire il DNA nazionale. E il cervello evidentemente ne risente. Non vedo altra spiegazione a comportamenti come quelli mostrati nella pellicola: una giovane madre di famiglia chiede il divorzio perché sorprende il marito a masturbarsi su un video porno che lui stesso aveva girato con una sua ex fidanzata consenziente. Dico, mi sembrerebbe idiota anche se lo avesse sorpreso a masturbarsi sulle labbra uterine di un’estranea, dopotutto che c’entra un orgasmo col tradire una relazione importante? Se una islandese chiede il divorzio per una cosa del genere allora per quel popolo è davvero ora di smettere di accoppiarsi tra consanguinei.
Il film in sè è un capolavoro sfiorato, ci va vicino ma precipita poco dopo in un burrone di fogna: poteva davvero essere un piccolo Seidl islandese quando racconta la sottotrama della lite tra vicini che degenera vorticosamente di dispetto in dispetto. Ne sarebbe uscito un gran bel cortometraggio, forse ingenuo e telefonato ma secco e geometrico come solo il grande regista austriaco sa essere. Invece aggiunge la trama parallela del divorzio, annoiando a morte con una storia ritrita senza il minimo spunto. Occasione sprecata.
Un consiglio agli amici dell’Islanda, la terra che ho amato di più tra i miei viaggi, fate accoppiare le vostre femmine coi turisti, mettetelo obbligatorio per legge, rinnovate il DNA o fra un po’ inizieranno a nascere figli con le orecchie al posto delle ginocchia. O magari inizierete a credere all’esistenza degli elfi.
Con la pausa Moderat del giovedì torno finalmente ad assaporare i ritmi per cui sono famose queste prime giornate del dopo estate: dormire 4 ore per notte. 10 giorni fisicamente sfibrati e culturalmente illuminanti. Sono ad un passo dal convincermi che senza questa espiazione la settima arte mi arricchirebbe meno. Entro in sala carico per vedere Pin Cushion di Deborah Haywoodi, forte dei giudizi entusiasti degli amichetti. Si rileverà purtroppo solo un Pussy Movie ben girato, salvato dalla mediocrità grazie all’interpretazione della co-protagonista: una mamma grassa, pittoresca e zoppa che deve tenere alta sul groppone tutta la profondità del film, per questo è anche così gobba. Senza di lei sarebbe la solita storia adolescenziale della nuova arrivata che viene avvicinata dalle reginette della scuola solo per essere presa in giro. Poteva tranquillamente intitolarsi Nemicheamiche®. Ce ne sono tanti di film con questa trama fotocopia ma oggi probabilmente ne ho visto l’esempio più accettabile. Consigliato, ma si astengano i maschietti.
Qualche gozzoviglio vizioso di troppo mi fa sbadatamente saltare il promettente Brawl in Cell Block 99, sembra un bel film d’ammazzi e mi prometto di recuperarlo in settimana. Finisco in Sala Grande in compagnia di Lean on Pete di Andrew Haigh, noiosissima opera a tema “cavalli e dolore“. Perfetta per Giovanni Lindo Ferretti. Solo nella mia fila da 6 dormivamo in 4, ovunque volgessi lo sguardo c’era un immancabile sbadiglio. Gli applausi finali di pura piaggeria sono stati la ciliegina che incorona questo come il peggior film visto fin’ora. In ogni caso ha un bel messaggio cristiano: perseverate! Se la mamma vi abbandona, il papà cazzone muore, se rubate, se scappate dalla polizia, se vi muore il cavallo, se prendete a sprangate un barbone, se mentite, se diventate un senzatetto, se vagate assetati nel deserto, anche dopo tutto questo basterà trovare una vecchia zia e la vita vi sorriderà. Perseverare!
L’ultimo film della giornata, The Insult di Ziad Doueiri, è il migliore visto fin’ora assieme a First Reformed, soprattutto per la capacità di approfondimento dei personaggi. Girato dentro un tribunale affronta lo spinoso tema della convivenza tra cristiani e palestinesi in Libano. Sa essere profondo e leggero, sa emozionare e tiene alto il ritmo. Una piccola offesa apre il vaso di Pandora nazionale che rimane bollente da decadi e ancora non accenna a raffreddarsi. L’attore protagonista è il sosia libanese di Robert Downey Jr.
L’acquazzone equatoriale che mi sorprende all’uscita, unito al mio k-way anni ottanta a tenuta ormai pari a zero, mi costringe a scappare a casa bagnato e congelato. Dopo un mese tra Meridione e Medio Oriente, essere zuppo d’acqua invece che madido di sudore è almeno una novità per uno che si annoia sempre di tutto.
Mi sto guardando quel che passano su mymovieslive. D’accordo con te su Under the Tree, voglio assolutamente vedere Schrader.