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#Venezia81 – Don’t f@ck with #PAVEMENTS di Alex Ross Perry

di il 05/09/2024
 

I Pavement son fatti così. Sfondano con l’album di debutto e doppiano il successo col secondo. Creano attorno al gruppo un’aspettativa gigantesca. Inventare un nuovo genere all’interno di un’arte effimera come quella musicale non è cosa che passa inosservata. Le case discografiche li corteggiano, i fan li adorano e restano tutti in fibrillante attesa del loro nuovo lavoro. Era l’epoca in cui Sonic Youth, Pearl Jam, Stone Temple Pilots, Pixies, Beck, Elastica, Soundgarden, Alice in chains e Dinosaur jr avevano aperto le porte non solo al Grunge ma alla musica indie in generale, facendola diventare mainstream.

Si susseguono a ritmo regolare le hit che hanno fatto la storia di quel decennio e MTV manda controvoglia in heavy rotation brani che tutto hanno tranne che il pop.

Girano un mucchio di soldi, i festival estivi in tenda sono l’evento con la E maiuscola a cui partecipare. Tutto sembra perfetto, e loro che fanno? Invece di dare in pasto alla macchina del business il nuovo Nevermind che avevano tra le loro corde, se ne escono con un’opera inaspettata, difficile, lunga, pigra, a tratti impalpabile, tutto tranne che catchy. Un’ora di musica che riempie tre lati di un doppio LP, lasciando il quarto assurdamente vuoto. Sembra autolesionismo ma è solo il loro modo spontaneo di urlare snobismo e anticonformismo sopra gli snob e gli anticonformisti. Fregandosene di tutto, divertendosi su tutto, scherzando su tutto e tutti. I Pavement son fatti così, non sono in vendita.

La sorpresa con cui viene accolto non cancella il fatto che Wowee Zowee sia un capolavoro. I fan non li hanno mai abbandonati e resta ad oggi una delle band più rivoluzionarie di sempre, pur in quella maglietta monocolore timida, la riga in parte e la cameretta coi poster delle rockstar. Fanno quello che sanno fare, altro non possono e gli è impossibile forzarsi diversi. C’è poca strategia, c’è poco gioco a tavolino e c’è molto divertimento.

Più che del contesto o della loro filosofia, avere una conoscenza di base del loro DNA è indispensabile per comprendere questo traballante fiction-documentario girato da Alex Ross Perry. Senza qualche indizio si resta in bilico tra il pensare che regista li ami o li voglia prendere per il culo mostrando per due ore praticamente solo i fallimenti: gli errori, i flop, i concerti rovinati, il fango lanciato sullo stage e le interviste zombie. Poteva magari accennare anche al successo o far sentire per bene le canzoni, e invece no.

Più che una scelta stilistica in coerenza con la posa della band sul non inseguire ad ogni costo il successo, il film presentato alla 81. Mostra d’arte cinematografica di Venezia è uno sfottò in 16:9, lo conferma anche la mia rivista preferita in un’intervista al regista. E’ però uno sfottò condiviso, se non proprio promosso, dalla band stessa. Il problema quindi non è che l’opera li (auto)squalifichi, è che li squalifica se la si presenta in un posto in cui non li conosce praticamente nessuno. È chiaro che l’intervistatore di Variety non aveva visto il film, all’epoca. L’idea di fondo del regista non funziona per lo stesso motivo per cui puoi chiamare dall’altro lato di campo Santa Margherita il tuo amico gay urlando brillo: “Oi reciòn vien qua!” e quello arriva col bicchiere in mano a farsi due risate, mentre non puoi fare lo stesso con un estraneo, pena ritrovarsi i canini piantati sulla giugulare. Godere o no di Pavements è una questione di confidenza.

Me lo vedo il regista che s’illumina: facciamo un film un cui ci inventiamo che siete stati la band più famosa del mondo, che c’è un museo su di voi, un biopic hollywoodiano ad alto budget e pure un musical di successo con le vostre canzoni! Non è geniale? No, my friend, è un giochetto interno, tra amici, che funzionerebbe benissimo in salotto da voi, con un trancio pizza in mano e tanta birra.

Il buon giorno si vede dal mattino.
Il film inizia con una frase in sovraimpressione che recita tipo: “Nel 1999 si sciolse la band più influente del mondo“, immaginandola divertente. Sai, Rob, perché non mi fa ridere? Perché i Pavement lo sono stati per davvero, dovrei ridere solo perché non hanno venduto abbastanza dischi o non hanno investito in Apple nei primi anni del duemila diventando milionari? Se all’epoca la massa non era abbastanza colta, sensibile o curiosa da arrivare a loro, mi spiace per gli altri, non per gli artisti. La massa evidentemente si è persa un momento storico indimenticabile che ha cambiato tanto me quanto tutte le persone che all’epoca avevano fame.
Purtroppo, se uno non ha vissuto quegli anni non può capirlo, la maggior parte del pubblico in sala non potrà capirlo.

Scherzare su un culto come i Pavement, antidivi per eccellenza, fa forse fare alla band il giro di 360 gradi moltiplicandone in realtà esponenzialmente le qualità? Questa volta no, siamo fuori tempo massimo. Se fosse il 1997, beh, che dire, allora avrei vent’anni e non sarei qui a sbraitare da solo come i vecchi mentre guardano il telegiornale.

Love U Pavement.

Pavements (2024)
Pavements poster Rating: N/A/10 (N/A votes)
Director: Alex Ross Perry
Writer: Stephen Malkmus, Alex Ross Perry
Stars: Stephen Malkmus, Scott Kanberg, Joe Keery
Runtime: 128 min
Rated: N/A
Genre: Biography, Music
Released: 02 Oct 2024
Plot: Documentary about the American indie band Pavement, which combines scripts with documentary images of the band and a musical mise-en-scene composed of songs from their discography.

 

PS So che fa molto anziano ma mi sono commosso quando hanno fatto vedere il cartellone:

 

 

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