La comicità involontaria del correre inutilmente.
Un senso di tenerezza per il corpo stanco di Tom Cruise
La trama da telefilm mediocre.
Il solito cattivo specchio del buono.
Il finale stereotipato e già ironizzato da Lucky Luke
Nessuno dovrebbe andare al cinema se non crede agli eroi.
(John Wayne)
In un mondo ideale, o anche solo normale, nessuno uscirebbe la sera, magari una sera con la pioggia battente, per ritrovarsi, con un amico, a vedere un film con Tom Cruise. È vero, lui ha il franchise di Mission impossible e con quel passaporto può normalmente aspirare a riempire la casella Film d’azione nel palinsesto delle multisala. Ma Tom non è un vero eroe da film ignorante, non è stato scritturato per I Mercenari. C’è stato un momento, nella sua carriera, in cui ha pensato di essere pure un vero attore. Non lo è mai stato, ma poco importa. C’è. C’è la pioggia. C’è un amico che non vedi da un po’ e che ha letto pure i thriller di Lee Child. C’è poco o niente di alternativo.
Jack Reacher è un ex maggiore della polizia militare che si è dimesso per andare a vagabondare per il mondo. Invaghitosi telefonicamente dell’ufficiale che ha preso il suo posto, nel giorno in cui decide di portarla fuori a cena, scopre che la bella è stata arrestata e rischia la pelle. Il nostro eroe la salva e inizia così una fuga con indagine per capire chi sono i cattivoni e salvare pure un’incerta figlia piovuta apparentemente dal cielo. Scrivo apparentemente ma, in realtà, la diciottenne Danika Yarosh, alias Samantha, è l’unico vero motore della storia e, anche, l’unica ragione per scrivere di questo film, altrimenti destinato al meritato oblio (o al riciclo sui canali satellitari, che è lo stesso). È lei la “Jack Reacher Girl”, non l’ex modella e pneumatica Cobie Smulders (il maggiore Turner), prevedibilissima e, pertanto, negata amante e “pari” del protagonista. È lei, Samantha, in qualità di possibile “amore di papà”, a dare un senso allo sguardo un po’ bolso e al fisico mollemente granitico del protagonista.
Gli sceneggiatori, tutti ultrasessantenni come il regista, non credono più alla forza traente del famoso pelo, ormai, tra l’altro, sottratto da anni all’immaginario maschile da icone glabre e asettiche. Azzerano, alla prima occasione, ogni tensione erotica tra Reacher e il maggiore. Mascherano, dietro la ricerca di un’evasione dal cliché del macho sciupafemmine tipico di questo genere di film, una tristezza un po’ senile e crepuscolare che molto bene si attaglia a Jack, eroe dal faccione espanso e poi smagrito con Photoshop sui manifesti.
Il desiderio si sublima e concepisce, in modo immacolato, un’adolescente dolcemente problematica che scalda il cuore disilluso del brutale bovaro, archetipo dell’americano medio come Chris Kyle, il cecchino consegnato alla gloria da American Sniper di Clint Eastwood. E se l’immissione del tema nostalgia per la famiglia ormai disgregata è palese nelle intenzioni degli autori, il risultato fagocita le aspettative, facendo di un blando sotto testo, davvero il “Punto di non ritorno” di un modo di fare cinema e di intrattenere invecchiato e stanco come i suoi protagonisti. La Yarosh batte dieci a uno Cruise, in recitazione. Lei è fresca, non solo per l’età. È credibile, c’è, anche se presa in prestito da un futuro meno glorioso e più omologato. L’eroe solo contro tutti è finito. È finito nei già citati e autoironici Mercenari, non a caso riuniti in gruppo. È finito nel color castorino dei capelli di Nicolas Cage, che condivide con Tom il medesimo viale del tramonto. È finito persino nei super-eroi, che si accoppiano e moltiplicano per alimentare un immaginario anni ’60, che non ha nemmeno più l’impertinenza ‘vintage’ o la scusa della rivisitazione. Ciò che resta, che interessa ancora, non sono più le grandi storie, gli scontri epici tra forze uguali e contrarie. Se anche ci sono, restano sullo sfondo, anche inconsapevolmente, come nel caso di questo film.
È il più sommesso dramma personale, la micro storia, figlia dei reality e delle serie televisive, che si mangia il significato del film, così come la giovane adolescente, quasi fardello passivo, ruba la scena ai due pseudo-genitori eroi, abbandonati in un mondo da secondo millennio, sempre più inconsistente e in rapida estinzione.