“Esodo 8, 2: Aronne stese la mano sulle acque d’Egitto e le rane uscirono e coprirono la terra d’Egitto.”
“Magnolia è un film pretenzioso e vuoto”. [David Foster Wallace, scrittore]
Quando un volo internazionale subisce un ritardo è sempre una iattura. Meglio pensare ad esperienze positive. Così decido di riguardarmi un film straordinario: Magnolia di Anderson. E di scriverne la recensione per la Cricchetta, ovviamente. Mentre mi vedo il film, chiamano per la centesima volta un passeggero mancante per Madrid. Cominciamo dai fondamentali: Magnolia è un dramma psicologico, con forti componenti pedagogiche, che rappresenta la solitudine e la complessità dell’esistenza umana. Una solitudine che è accentuata dalle relazioni con amici e parenti invece che mitigata, un mondo in cui il coltello nell’anima lo può spingere dal farmacista al miglior amico. Tutto il film si articola su una pretesa capacità di ridurre le persone che ci circondano a dei canoni che ci siano famigliari. La donna sposata con il vecchio l’ha fatto per interessi. L’acquisto di massicce dosi di antidolorifici serve per drogarsi. Talvolta questi canoni ci sono serviti su un piatto d’argento dalle persone stesse, talvolta pensiamo di essere stati intelligenti nell’averli creati tramite la nostra investigazione dell’anima o del privato degli altri.
E’ realtà che il bisogno di comprendere gli altri porta con sé la semplificazione, perché la complessità non è fatta per il nostro cervello, non è trattabile. Mentre, la riduzione a modelli già visti, questo sì compiace le nostre capacità intellettive. (Hanno promesso che siamo all’ultima call del passeggero mancante per Madrid). C’è solo un problema non trascurabile: l’uomo non è mai riconducibile a modelli predeterminati, e la consapevolezza che chi lo attornia si basa su questi crea solitudine.
La tensione che permea le scene pittoresche del film è tra una visione delle nostre comunità in cui questo è inevitabile, in cui la solitudine è parte integrante delle persone, ed una visione più ottimistica, dove le persone trovano la fede per amare qualcosa o qualcuno che accettano di non conoscere o conoscere solo marginalmente. Non so quale delle due vie sentiate più familiare, ma ricordate che quando pensate di aver capito chi amate, in realtà state considerando solo una sua semplificazione, forse state amando la semplificazione che vi siete creati. Se esiste, se possibile, vorremmo una forma d’amore rivolta a chi ci sta accanto e non alla sua proiezione, per far sentire che, comunque vada, comunque sarà, noi ci saremo, anche se non capiamo. Magnolia per me è questo: una declaratoria di tutto questo.
La regia complessivamente è interessante, anche se forse risente un po’ dell’età, le interpretazioni molto curate.
Credo che raramente mi sia capitato di vedere un film così profondo. Ancora più raramente mi è capitato di riguardare un film più lungo di tre ore. Assolutamente consigliato.
E niente, non hanno ancora chiamato il mio volo.