My favorite place
Quanto è bello rifugiarsi in questo luogo protetto, sicuro, riparato dal vento, dalle piogge e dai vicini curiosi; un angolo solo nostro, fuori dalla velocità, dove vale soltanto la regola della cura, del tempo lento, del cibo masticato e dei respiri profondi. Sembra il giardino di Mahin pieno di piante e fiori. Ci sono alberi ormai alti, come quei cedri rubati con l’amica al parco trent’anni fa che ormai fanno ombra durante pomeriggi assolati. Uscire dal giardino è una tentazione ed insieme una maledizione. Le mura recintate rassicurano, proteggono ma allo stesso tempo ingabbiano. Solo qualche risata tra quelle mura quando lei invita le sue amiche, ormai soltanto una volta all’anno. In quell’occasione, le riempie di cibo e di attenzioni, è il suo modo di amare. Felici, le amiche scherzano dei loro malanni e dei tentativi di sentirsi ancora giovani e desiderate, corteggiate. Quando Mahin esce pare una bambina: osserva le persone quel secondo troppo a lungo, che sembra le stia fissando. Fa domande ingenue, semplici, vuole sapere a che ora la gente solitamente si allena in quel parco. Come se in un parco lei non ci avesse messo piede mai. In effetti, che ne sappiamo noi del regime di controllo iraniano? Che ne sappiamo noi della Polizia della Morale? E come si può vivere in un mondo in cui ti arrestano perchè non sei vestita secondo i crismi? Come fai a tollerare tutto questo se ormai hai la mente piena di ricordi di una città dove 30 anni fa potevi camminare con le gonne corte ed i tacchi alti?
Il ritmo scorre lento dipingendo scene di quotidiana (a)normalità. Mahin si aggira tra i luoghi dei suoi ricordi, come all’Hotel che ora si chiama beffardamente “Libertà”, nel tentativo di ordinare un caffè freddo, o durante il pranzo al ristorante dei reduci di guerra. Lì si immerge nel contesto, seguendo i dialoghi altrui come una spettatrice, mantiene un certo distacco, anche se l’obiettivo è ben chiaro. E’ finalmente determinata nell’aprirsi ad un incontro, anche di natura erotica. Parlare con le amiche ha sempre un effetto curativo, ti spinge a specchiarti. Vedere dove sei tramite i loro occhi: sentirti spingere avanti o tirare indietro. A questo servono le cene senza filtri, dove si parla di sesso, malattie veneree e poesie con lo stesso registro. L’incontro, se bene mirato, ha la speranza di avvenire, anche perchè ti dicono che i desideri formano il tuo pensiero e le tue azioni.
Quale esempio di coraggio è Mahin: passa dal dormire fino a mezzogiorno in uno stato di torpore perenne all’andare in un ristorante e dire “io scelgo te!”. Forse, passati i 70, capisci che ogni lasciata è persa e ti sale quel coraggio che prima pensavi di non avere.
Pensa che forza avere il coraggio dei 70 e la forza dei 20
Una volta scelto, come si sente il prescelto? Lusingato, stranito, di certo disorientato. L’attesa di Mahin per intero pomeriggio fuori dalla stazione dei taxi è anche essa cura, attenzione, è tempo fermo per aspettare lui, proprio lui, Faramarz.
Due solitudini che si incontrano fanno una compagnia? Non so rispondere a questa domanda. Ne esce una serata fantastica, divertente, emozionante, a tratti romantica, a volte nostalgica, ma di certo libera, liberatoria. Per festeggiare questo incontro atteso da una vita si apre il vino, bandito dal regime, e non c’è fine ai piatti deliziosi. E’ l’occasione buona per aggiustare le lampadine del giardino e mangiare all’aperto, nell’aria fresca, dopo l’acquazzone. Si sente il profumo degli odori, specie della menta che cresce rigogliosa e senza alcuna necessità di cura. Il giardino è incantato e magico, nel sottofondo la musica degli anni passati. La dolcezza e la spensieratezza degli attimi fanno dimenticare le paure, anche quella di morire soli. Il tempo sembra sospeso tra le danze sulle note delle canzoni tradizionali e i barcolli degli adolescenti ubriachi.
La serata è fatta e alla fine un desiderio viene pure esaudito.