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Quando si poteva dire quello che si voleva: la Milano criminale degli anni ’70

di il 09/08/2024
 

In fondo, l’odio viscerale manifestato da parte di alcuni boomer e degli esponenti politici di riferimento nei confronti dell’attivismo (antirazzista, LGBTQ+, per la giustizia sociale, etc.), o come dicono loro, dell’ideologia “woke”, bisogna capirlo. Sicuramente, vivere in Italia negli anni ’70 non dev’essere stato uno scherzo, specie in alcune città particolarmente malfamate, tipo Napoli Milano. Ogni giorno era buono per assistere, essere coinvolto o partecipare a qualche episodio di violenza, spesso armata. Nessun luogo era veramente sicuro: in banche e negozi si facevano più rapine che affari, le strade erano teatri di inseguimenti e sparatorie, così come le piazze e le stazioni, dove scoppiavano pure le bombe. In casa? ti rapivano (ma, trionfi la giustizia proletaria, solo a seguito di una approfondita analisi del tuo patrimonio familiare). Insomma, posso capire che anni vissuti con questo stress costante abbiano potuto compromettere irreparabilmente le funzioni cognitive di parte di quella generazione.

Quasi non sembra di essere in prigione

Si fa fatica a credere che oltre al terrorismo nero, rosso, p4lestinese, alle logge massoniche, alla mafia ed alla criminalità organizzata, ci fosse spazio anche per dei semplici banditi. Eppure, pare che in quegli anni le opportunità di business e le esorbitanti quantità di denaro contante riuscissero a soddisfare proprio tutti. In particolare, due nomi si contendevano il titolo di re del Far West milanese: Francis Turatello e Renato Vallanzasca, efferati criminali e capibanda che governavano la malavita locale. Due storie, due bande, due stili criminali che hanno generato una narrazione epica delle imprese di questi personaggi, spesso autoalimentata e comunque ottima da dare in pasto alla cinematografia. D’altra parte, questa non si è mai sottratta al fascino della criminalità e al successo della sua romanticizzazione, con esiti talvolta egregi, basti pensare al fatto che Il Padrino è considerato da molti il film più bello di sempre.

Ovviamente, neanche il cinema italiano poteva astenersi dall’attingere a piene mani da queste vicende, già così dense di azione, romance, aneddoti succulenti ed intrighi da essere pressoché pret-a-filmer. Ed infatti, già nel 1977, prima ancora che fossero giudizialmente ricostruite le epopee criminali dei protagonisti, il nostro cinema ci regala La Banda Vallanzasca di Mario Bianchi. La tempistica così prossima agli eventi sembrava promettente: nessuno sforzo di ricostruzione storica necessario, dato che si poteva contare su vestiti, baffi, macchine e spirito del tempo originali. Eppure, credo di non aver resistito più di mezz’ora: pazienza per i buchi di trama ed il fatto che di Vallanzasca non ci fosse neanche l’ombra, ma perchè ricostruire una piazza italiana con la cartapesta quando ce n’erano migliaia di originali a disposizione? Al cattivo gusto c’è un limite. Insomma, troppo trash a cui non ero psicologicamente preparata. Magari, lo riguarderò giusto per capire come si piazza nella scala di bruttezza Wiseau®.

Provo allora con il più recente Vallanzasca – Gli angeli del male di Michele Placido, confortata dalla presenza del Principe Romualdo Kim Rossi Stuart nei panni del bel Renè (il vero Vallanzasca, ancora oggi vivo e vegeto, dirà che comunque era più bello lui). Per lo meno questa volta non soffro, e a mio parere Kim se la cava dignitosamente, sebbene il forzato accento milanese lo metta sempre a rischio di sfociare nella commedia dell’arte. L’interpretazione si concentra sulla personalità di Vallanzasca, soffermandosi sui tratti di spavalderia, carisma e sull’urgenza del crimine. A pensarci però, l’adrenalina da rapina me l’hanno raccontata in modo molto più efficace in un podcast. Questo sì un gioiello.

Probabilmente, il preteso intimismo del film è dovuto alla mancanza dei mezzi per dare alle scene d’azione l’epicità che meritano, fosse anche solo per replicare quella già fornita dalla realtà. Tuttavia, non si gioca bene neanche la carta degli intrighi e della contestualizzazione storica: le dinamiche tra i personaggi vengono accennate tiepidamente, gli episodi più salienti vengono raccontati solo per condire lo svolgimento di quello, che alla fin dei conti e al netto di un bel paio di irriverenti occhi blu, resta un comune filmetto d’azione.

Concedo un ultimo tentativo al cinema italiano con Altri uomini di Claudio Bonivento che dovrebbe raccontare la storia di Angelo Epaminonda, criminale siciliano sempre fatto di coca e sempre in tensione tra fare il leccapiedi del re, chicchessia, o ucciderlo. Ho fatto anche lo sforzo di ricollegare i personaggi dai nomi fittizi a quelli storici, prima di rendermi conto che anche gli eventi erano per lo più inventati o comunque raccontati in modo non accurato. Anche qui, un po’ di tenerezza per il budget italiano che trasforma le bische in sale gioco con biliardi e flipper, mentre gli riescono meglio le scene di quelle più dimesse, all’aperto, nella notte, illuminate dai fari delle auto. Il regista preme sulla parte di romance, con tanti dialoghi e personaggi femminili appiattiti dall’innamoramento fatale per il maschio dominante. Ad ogni modo, un plauso al casting, vista la rassomiglianza sia del protagonista che di Turatello ai corrispettivi reali.

Insomma, gli ultimi due film vanno bene per distrarsi dalle imbarazzanti polemiche sulle Olimpiadi (dei boomer cui sopra) in una serata qualsiasi di calura, ma se si cerca una narrazione accurata e con le giuste sfumature sulle vite di alcuni dei protagonisti criminali di quegli anni, “meglio il libro” (cit.).

Mi sento comunque di dare degli avvertimenti a chi, al termine della lettura, si sentisse ispirato ad intraprendere una carriera criminale:

  • è praticamente sicuro che finirai in prigione;
  • in prigione, o ti ammazzano
commenti
 
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  • Danilo Bottoni
    09/08/2024 at 13:03

    Meglio dei tardi e tristi film postumi e, forse, dei podcast che, da buon boomer, non frequento, sono i coevi (alle imprese dei banditi) film di Fernando Di Leo: Milano Calibro 9 (con lo storico pugno nei denti a Barbara Bouchet), La mala ordina e Il boss. Il cinema italiano di genere che ha fatto scuola, magari anche agli stessi delinquenti

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