Il coraggio di cambiare
Il taglio internazionale
L'assenza di bambini
La solita retorica dei buoni sentimenti
"Mi passi i bambini? Non ci sono? Se ne sono accorti che sono partito?" (l’avvocato Checco)
Azzuffandomi, il giorno della Befana, per accaparrarmi l’ultimo posto rimasto per il nuovo film di Zalone “Quo vado?”, entro in sala a proiezione già iniziata. Lo so, è una cosa che anch’io detesto, ma sembra ci sia il tutto esaurito anche per gli spettacoli successivi. Potenza di Checco. L’atmosfera è elettrica. Nel pienone, la voglia di ridere spensieratamente come capita per ogni lavoro del comico barese, è più intensa dell’odore di popcorn unto.
Eppure, già dopo pochi minuti di proiezione, mi rendo conto di trovarmi di fronte a una svolta rispetto alle precedenti produzioni.
Anzitutto l’epoca: non la nostra ma gli anni della guerra fredda e, più precisamente, il 1961, quando iniziò la costruzione del muro di Berlino. Già qui si vede un primo salto di qualità: ambientare la storia in un periodo che, per la maggior parte del pubblico pagante, è completamente sconosciuto, può essere un rischio. Ma Checco non teme di sperimentare.
Certo, l’infallibile formula del road movie, non si tocca ma anche l’idea di partire da Brooklin per poi approdare a Berlino (non in Norvegia, come le solite voci fuorvianti avevano messo in giro) apporta una ventata di piacevole freschezza alla ormai stantia formula del meridionale emigrato o costretto a emigrare, già sfruttata anche da comici più blasonati come Troisi o Totò. La trama è presto detta: l’avvocato Zalone (un Checco un po’ invecchiato e imbolsito che somiglia vagamente a Tom Hanks) deve difendere una spia sovietica per salvarlo dalla forca. Dopo una serie di peripezie, il Nostro si ritrova a Berlino Est come mediatore per lo scambio dell’agente segreto russo con un pilota americano prigioniero di Mosca. L’esile trama fa da sfondo alle solite esilaranti gag iconoclaste del comico (ottima la rivincita alimentare nel ristorante di Berlino Ovest), nonché alle sue sarcastiche battute satiriche (cito solo la più scorretta politicamente: “Io sono irlandese, lei è tedesco, ma cosa ci rende entrambi americani? Una cosa sola, una, una, una: il manuale delle regole, lo chiamiamo costituzione e ne accettiamo le regole. E’ questo ci rende americani, solamente questo.”).
Si ride, come sempre, ma è un riso un po’ più contenuto, più riflessivo. Anche Gennaro Nunziante, solitamente assestato su regie di servizio, si cimenta in alcuni virtuosismi quasi spielberghiani (la sequenza del pilota americano che viene colpito, ad esempio). C‘è come uno sforzo, da parte di tutti, di confezionare un prodotto che, pur mantenendo quella patina di buonismo democratico cristiano tipicamente italiana e ‘zaloniana’, possa essere fruibile anche da un pubblico più ampio, magari quello americano dell’Academy Award. L’ottima risposta del pubblico, nonostante le importanti differenze rispetto alle precedenti produzioni del comico cantante, è la dimostrazione di come sbagli certa critica a considerare il successo di botteghino come direttamente proporzionale all’ignoranza dei contenuti proposti. Dal talento e la voglia di rischiare nascono i capolavori. Forse ‘Quo vado?’ non lo sarà ma, almeno, è il tentativo di tracciare la strada per il futuro della commedia all’italiana: un cinema di respiro internazionale fondato sui nostri valori più sacri come l’onestà, la tenacia e il coraggio.
E come non citare la gag, in stile commedia all’italiana, della casa a Berlino senza riscaldamento, come se la CIA avesse finito i soldi?
genio.