Recensioni
824 letture 0 commenti

#StarTrek, la particle fever e la terror fever

di il 09/02/2017
 

Una decina d’anni dopo la fine del Maccartismo, il panciuto pubblico americano vedeva gli episodi di uno dei primi telefilm, Star Trek. Qualche anno dopo diventerà uno dei programmi televisivi più popolari e troverà spazio nelle programmazioni delle TV di mezzo mondo. Nella miscela fantascientifica di Star Trek, gli ingredienti non erano affatto ovvi: un capitano nei panni del novello Ulisse guidava una ciurma fatta da un guardiamarina russo, Pavlan Chekov, un tenete donna e di colore, Uhura, un timoniere asiatico dal dubbio orientamento sessuale, Sulu, e un alieno dalle orecchie posticce. Uhura è stata la prima donna di colore con responsabilità di comando proposta al grande pubblico (ricordiamo tutti lo “zi badrone” di Via col vento, vero?) e per capire l’impatto ed il coraggio di questa scelta basti ricordare che la BBC sentì il dovere di censurare il primo bacio interraziale tra il bianco Kirk e la nostra eroina. Tutto questo avveniva mentre Martin Luter King lottava per i diritti dei neri. Ma se Uhura non aveva bisogno di far capire la sua “nerità” (anche se la sua stanza è arredata con una specie di pelle di zebra a scanso di equivoci), gli autori si saranno chiesti se chiamare Chekov per cognome sarebbe stato sufficiente a ricordare al pubblico americano la sua “russità”. Devono aver concluso che non era così e hanno pensato bene che lo spettatore, magari quello ottenebrato dal colesterolo degli hamburger nei cavi che ossigenano il cervello, avrebbe avuto bisogno di un aiutino: ecco la pensata, se Kirk incontra un alieno, questo ha un inglese impeccabile, ma Chekov no, lui mantiene il suo bell’accento russo (purtroppo praticamente perso nel doppiaggio italiano). Per fare un paragone, è come se oggi mettessimo nell’Enterprise un po’ di Afghani radicalizzati e per non dimenticare la loro estrazione li facessimo pregare ogni due per tre e rifiutare puntualmente gli spuntini a base di carne di maiale offerti da Kirk.

Ma il tema di questa recensione è il documentario Particle Fever che racconta la storia di una delle scoperte più importanti per l’umanità ed una delle imprese scientifiche e tecniche più spettacolari: l’identificazione del bosone di Higgs e la costruzione dell’acceleratore al CERN di Ginevra. Ci sono almeno tre ingredienti comuni con la serie Star Trek.

  1. Primo ingrediente: Il documentario mostra una collezione di tanti Uhura, Chekov, Sulu e Spock e si apre con una constatazione, evidentemente fondamentale per la narrazione: al CERN lavorano fianco a fianco scienziati di moltissimi Paesi, e molti di questi Paesi sono acerrimi nemici. Poi cominciano a presentare i ricercatori. Il primo è Savas Dimopoulos, un rifugiato che dovette scappare dalla Turchia durante la crisi di Cipro per le sue origini greche. Il secondo è Nima Arkani-Hamed, emigrato dall’Iran in Canada da bambino ed oggi è docente a Princeton (dopo Harvard e Berkeley). Dulcis in fundo, c’è anche un folto gruppo di fisici italiani.
  2. Secondo ingrediente: Perché costruire l’acceleratore e metterci le migliori menti a lavorare? Quali sono le applicazioni di questa ricerca? La risposta non tarda ad arrivare, in una conferenza uno dei fisici è molto chiara: al momento, nessuna applicazione, vogliamo solo sapere come stanno le cose. D’altra parte, che ci faceva a spasso l’Enterprise? Esplorare spazi sconosciuti, “alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessuno è mai giunto prima“.
  3. Terzo ingrediente: ve le ricordate le dispute sulla razionalità tra Spock e McCoy? Anche tra i fisici ci sono forti differenze di vedute: chi avrà ragione tra i sostenitori della teoria degli universi multipli e quelli della supersimmetria? Dovrete attendere la fine del documentario per scoprirlo.

In conclusione, se la sci-fiction diventa reale che cosa resta dell’immagine dell’immigrazione proposta nei media (si badi bene, non dai media)? Quell’immagine che raffigura un mondo dove l’integrazione è impossibile o assassina o comunque economicamente svantaggiosa, ed ignora che dalla chiusura di una società ne consegue solo la sua morte? E’ nient’altro che il tentativo di demolizione di una grandiosa utopia, è l’indole distruttiva di Kahn (cfr. Star Trek II, L’ira di Kahn). Tentativo alimentato da argomentazioni meschine, scarsa cultura ed ingiustizia.

Sei il primo a commentare!
 
Rispondi »

 

Commenta e vota