Non ho mai incontrato Alex Visani. Eppure è come se lo conoscessi da sempre. È il fratello che non ho mai avuto. Quello con cui ti scazzotti per la pleistèscion ma che sa esattamente in qualsiasi momento a cosa stai pensando. Alex, io conosco la tua battaglia. L’ho combattuta anch’io. E non posso in tutta onestà dire di esserne uscito trionfatore.
Ricordo perfettamente la prima volta che ascoltai Disorder dei Joy Division. Ero in bagno, affaccendato in noiosissime abluzioni, quando dal mangiacassette Aiwa sulla mensola partirono improvvisamente quei colpi sordi di rullante. E poi QUEL giro di basso. Una vertigine che mi tolse il fiato. Io adolescente, nel bagno della mia casetta medio borghese, con lo spazzolino per terra e quelle quattro note di basso ossessive che sembravano venire da un’altra dimensione. Io e la mia cameretta, con i dischi di Bennato e Genesis ed il poster di Borg. In quel preciso momento decisi che un giorno anch’io avrei creato qualcosa capace di fulminare un adolescente in un cesso in qualche angolo del pianeta.
Più di trent’anni, tre chitarre, un paio di drum machines e multitraccia dopo posso serenamente asserire che l’unico modo in cui potrei fulminare un adolescente sarebbe di buttargli il phon acceso in vasca mentre sta facendo il bagno. Ancora adesso, con la mia triste chitarrina (beh, dai, una Telecaster anche se Squier) ed il mio Garageband sto ancora a chiedermi come sia possibile estrarre da quattro note di basso elementari un diamante che il tempo non potrà mai scalfire. Lo sai, Alex, qual è la risposta? È terribile, lo so, ma purtroppo il talento non si trasmette per osmosi. Ho nutrito per decadi le mie sinapsi con milioni di note di Kinks, Sonic Youth, Television, Morphine, Siouxsie, Smiths e Bowie ma quello stronzo di cervello non assorbe un cazzo. Assorbe solo l’alcol.
Alex, fratello, lo so che hai visto milioni di volte Videodrome, Hellraiser, Basket Case o Alien ma purtroppo ciò non basta a fare di te un cineasta. Ci sono innumerevoli registi di b-movies che sono riusciti a fare cose bellissime con quattro soldi, togliendo metaforicamente il sangue dai muri (ha, pun intended!), pensa a quel genio di Mario Bava o al primo Peter Jackson. O quelli che, pur fallendo completamente dal punto di vista artistico, sono riusciti a guadagnarsi un posticino nell’immaginario collettivo per la bruttezza epica dei loro film, come Ed Wood.
Qui, Alex, fratello, davvero non c’è nulla. Dal protagonista che sembra il Lorenzo di Corrado Guzzanti, al mostro con le terminazioni nervose disegnate con l’uniposca, ai chili di coratella sprecati per gli effetti speciali, alle scene di sesso che fanno rimpiangere le foto di biancheria sui cataloghi Postalmarket degli anni 70. Eppoi, Alex, buon dio, pazienza per gli attori improbabili e gli effettacci da fiera strapaesana ma qui manca il protagonista principale di un film horror: l’atmosfera. Stomach è piatto, come quello di un calciatore. E non è un bene, per una tipologia di film che dovrebbe tenerti sempre sull’orlo della sedia.
Però devi insistere, Alex. Non darti per vinto e studia. Analizza gli zoom di Bava, i close up di Corman, guarda come monta un film Sam Raimi. Guarda gli effetti su Braindead di Jackson: non sono costati più dei tuoi ma fanno sbellicare/inorridire.
“Il comico è il tragico visto di spalle” diceva Gérard Genette. Il tuo cinema è di profilo, Alex. Giralo da qualche parte, cerca di dargli un’identità. E non ascoltare quei critici che ti dicono per qualche motivo insondabile che Stomach è un film riuscito. Non è vero. Loro sono i tuoi peggiori nemici. Partendo da questo puoi solo migliorare. Keep up the fight, bro!
E adesso torno in studiolo che c’ho un giro di basso in testa…