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THE FLORIDA PROJECT di SEAN BAKER

di il 08/01/2018
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IL MIO VOTO


 

Sono, per usare un’espressione ormai paleolitica ma a me molto cara, il classico cinico blu. Odio i sentimentalismi facili, la melassa emotiva à la Titanic, gli happy ending lacrimosi con lo spettinato ribelle che ritorna a orecchie basse dalla biondina di buona famiglia della casa all’angolo in un buco di culo del Midwest. Mi fa vomitare l’universo colorato di Walt Disney, con quei cazzo di animali con le orecchie grandi che scimmiottano le peggiori abitudini dell’essere umano (a proposito, a quando un film/documentario che osi mettere finalmente in luce la vera figura di quel monumentale figlio di puttana che fu il buon Walt?) E soprattutto non sopporto i film con i bambini protagonisti, escamotage che il 99% delle volte è solo un ricatto emotivo per tentare di lastricare d’oro le vie che portano al botteghino. A meno che…
A meno che il regista non riesca per incanto a toccare certe corde nascoste, spazzando via ogni vestigia di romanticismo d’accatto per provare ad immergerci in quella miscela esplosiva ed anarchica che costituisce l’universo emotivo di un adolescente. Non succede praticamente mai. Però succede. Ci riuscì Loach con Kes, Meadows con This Is England e ovviamente Truffaut con Les Quatre Cent Coups. E ci riesce, alla grande, Sean Baker con questo folgorante ritratto di una comunità di desperados appollaiati in motels di terz’ordine ai margini del più grande parco giochi del mondo, sorta di pulviscolo umano nascosto sotto il tappeto sgargiante dell’American Dream.

Florida Project era il nome originale da progetto di Disney World (sì, ancora lo stronzo) ed è proprio intorno a questo baraccone opulento che si svolge il film, in un universo coloratissimo dove i motels sono dei castelli arancioni, le gelaterie sono a forma di gelato, i baracchini dei succhi d’arancia a forma di arancia e le immancabili armerie a forma di fucile. Ed è la straordinaria vitalità a-disneyana dei bambini protagonisti a differenziare questo film dai poverty porn à la Slumdog Millionaire, fin dalla sequenza formidabile della gara di sputi all’inizio del film. Il cast è un insieme miracoloso di persone esordienti reclutate sul posto, con provini o addirittura via Instagram (la tatuatissima Bria Vinaite) e capitanate dall’eroico gestore del motel The Magic Castle, un immenso Willem Dafoe in una delle migliori prove della sua carriera.
Da vedere ad ogni costo ed in versione originale. Non importa se non capite un cazzo, le parole in un film del genere sono secondarie. Anche perché sono sicuro che i doppiatori italiani riusciranno comunque a rovinare la magia di The Florida Project, piazzando la voce mielosa di qualche moccioso che fa la réclame dei Kinder. O di qualche personaggino di un film di Walt fucking Disney…

 

 

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