il concetto di giustizia sociale
la troppa diffidenza diventa velocemente un registro subdolo
Quentin Tarantino conferma una teoria che già Edgar Allan Poe aveva reso inconfutabile: nel gioco degli scacchi si può vincere esclusivamente per distrazione dell’avversario: “il gioco richiede una grandissima attenzione, continuamente tesa ad evitare un errore che determinerebbe la perdita della partita” (Edgar Allan Poe, “Il giocatore di scacchi di Maelzel”).
Tarantino ha scelto di girare questo suo ottavo film in 70 mm: lo stesso tipo pellicola che si usava per gli importanti polpettoni anni ’50. L’esperienza della visione può sembrare così più spettacolare e, allo stesso tempo – quando l’inquadratura è stretta – può offrire un’aria d’intimità. I costi associati a questa fatica non sono stati indifferenti, ne abbiamo letto in quantità, perché – in un momento storico in cui la tendenza va sempre più verso il digitale e l’IMAX, Tarantino ha fatto ricostruire strumenti letteralmente inesistenti per poter girare il suo capolavoro
Durante la visione mi è venuto in mente che Tarantino cercava di prepararci per “The Hateful Eight” già da anni. Racconta la storia essenzialmente in due spazi: la cabina della carrozza e la locanda di Minnie. Ed è importante non aggravare questa riflessione con le inevitabili dietrologie sulla carriera di Tarantino, e cosa può avere questo film che invece non c’è in “Django Unchained”, oppure come “Unglorius Basterds” sia una spanna sopra il secondo “Kill Bill” e via discorrendo. Potremmo così evitare il solito scempio di analisi comparativa tarantiniana e concentrarci su questo film solamente. Tarantino decide di offrirci diversi personaggi poco raccomandabili. La mancanza di fiducia è fondamentale nell’istinto di sopravvivenza. Sei capitoli complessivamente: quattro che portano avanti la storia senza troppi scombussolamenti, un quinto di “flashback”, che aiuta a contestualizzare (molto generoso da parte sua), e poi un epilogo che farebbe perdonare a Tarantino qualsiasi pausa indefinita dal cinema che volesse prendersi, perché è così che si chiude un film sulla natura umana.
I personaggi del film, i loro sguardi e le piccole scommesse che si tramano e non vengono mai esternate non consentono distrazioni, proprio come in quella scacchiera appoggiata su un tavolino nella locanda da Minnie: i personaggi sono ovunque e ognuno di loro ha un ruolo strategico. Talvolta si trovano in primo piano mentre discutono: “solo quando i negri sono spaventati, i bianchi possono sentirsi in salvo”, oppure quando Tim Roth (che sembra vestire i panni di Christoph Waltz) parla di giustizia e del distacco necessario che gli consente d’impiccare senza troppi fronzoli. Talvolta sono in secondo piano e sembra non vogliano essere visti, ma ricoprono sempre un ruolo, non sono mai passivi. Samuel L. Jackson è l’artefice del momento di violenza più importante del film, ma non usa armi da fuoco e non fa versare sangue quando arriva il momento del suo monologo, quando descrive la tortura/umiliazione alla quale lui, in quanto negro, aveva sottoposto uno dei bianchi coinvolti in tutta questa storia. Perché “solo quando un bianco è privo dalle armi, solo in quel momento, un negro può sentirsi sicuro”.
Dopo un’ora e mezza, all’improvviso, Tarantino si affida alla voce fuori campo, giusto perché anche lui ha bisogno di fare un po’ d’ordine. The Hateful Eight è senz’ombra di dubbio un film molto violento, ma sarebbe stato difficile aspettarsi il contrario. Ciò che me lo farà guardare per la seconda (e probabilmente terza) volta è che a questo giro le vere pallottole sono le parole: Jennifer Jason Leigh è legata durante tutto il film, eppure è lei a pronunciare le frasi più crude, più feroci; e comunque il sottoscritto ha un debole per lei, perché pochi personaggi del cinema degli anni novanta sono stati più cattivi della sua Hedra Carlson di “Inserzioni Pericolose – Single White Female”. Era il 1992 e più di vent’anni dopo è un piacere ritrovarla così in forma, e ancora più stronza.
Ogni personaggio sta in piedi con le proprie forze, nessuno è la spalla di un altro. Walton Goggins è ammirevole mentre recita con una forte cadenza del sud. Era da un po’ che non vedevamo Michael Madsen in un film di Tarantino, e la sintonia è perfetta. L’unico a sembrare un po’ spaesato è Kurt Russell che non parrebbe diffidente come invece prescritto dal copione, ma la dinamica che sviluppa con la sua “prigioniera” Daisy Domergue è irresistibile. Tarantino ci riporta nel Wyoming, un Wyoming molto meno romantico e patinato di quello di Annie E. Proulx e Ang Lee. Siate pronti.
The Hateful Eight (2015) | |
---|---|
Rating: 7.8/10 (672,911 votes) Director: Quentin Tarantino Writer: Quentin Tarantino Stars: Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh Runtime: 168 min Rated: R Genre: Crime, Drama, Mystery Released: 30 Dec 2015 |
|
Plot: In the dead of a Wyoming winter, a bounty hunter and his prisoner find shelter in a cabin currently inhabited by a collection of nefarious characters. |
Aún no he podido ver esta historia de Tarantuno. Casi todas muy polémicas y en las cuales el pone algo de su vida casi para ser protagonista y director o productor a la vez. Sin embargo luego de leer esta crítica detallada en la profundidad casi en la intimidad del escritor cosa buen osada, no puedo que ir ASAP a verla y espero llevar muchos amigos
Mi hai quasi convinto ad andarci….
Grazie Fabio: comunque hai colto in pieno il mio spirito altruistico, vorrei le persone vedessero solo del gran bel cinema, e stessero alla lontana da schifezze quali Woman in Gold oppure The Gunman, che rincoglioniscono le masse.. (: